Bevo un te alla vaniglia sperando mi tolga di dosso questa nausea dolciastra. Cerco di ridare un ordine ai ritagli del mio tempo, come sempre scombinati dell’incalzare degli eventi. E io persa e dispersa in quel mio assurdo e disperato bisogno di rimettere tutto a posto. Questo mio strano approccio al tempo in una sorta di sindrome dei pensieri senza riposo. La verità suona come sconcertante alle mio orecchie. La mia voce negli ultimi tempi si fa pericolosamente sincera nella mia testa. E ora mi vedo per quella che sono, nuda. È la verità è che ho paura. Paura di sbagliare, di ferirmi, di scivolare ancora dentro il labirinto di tutti i mie sbagli. Respiro. Respiro di nuovo. Un’occhiata fuori all’autunno che brucia di colori e di un sole stanco. Quel senso di vertigine. L’unico modo di mettermi alla prova a provare. L’unico modo per cambiare è chiudere gli occhi e lasciarmi andare. Posso farmi prendere dal panico, quel panico puro che suona sordo e vuoto, segna significato. Oppure posso riordinare i ritagli del mio tempo e dargli una nuova forma che sia mia. E lo faccio. Perché quattro giorni di vacanza non possono terrorizzarmi. Non ha senso. Metto cerotti sulle ferite. Legna a bruciare nel piccolo fuoco tra le mie mani. Nastro adesivo per tenere insieme i pezzi. Tutto quello che so fare. Farò. E mostrerò disinvoltura agli specchi pur sentendomi dentro mordere da questa paura. Di me stessa. Cionostante. Mi lascio andare.
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