Cose che mi piace fare. Sei.
Una. Mi piace andare a nuotare il sabato mattina. Assolutamente orribile con cuffia ed occhialini, [entrambi azzurri]. Inguardabile. Lascio le infradito [anch’esse azzurre] vicino al bordo e scivolo nell’acqua tiepida e azzurra [pure lei] causa piastrelline sul fondo e sulle pareti. Corsia due. E, puntolino azzurro nell’enormità [mica troppo] della vasca azzurra [nel blu dipinto di blu] mi do una spinta coi piedi contro la parete e mi lascio nuotare. Non esiste più il tempo, lo spazio, i pensieri. Solo i numeri [delle vasche] e quella sensazione di acqua sotto, sopra e tutt’intorno. Dentro. I suoni liquidi del mio respiro che viene a galla. Senza peso. Senza pesi.
Se mi piace nuotare il sabato mattina non disprezzo neppure quella sensazione di stanchezza che me ne rimane addosso, e quel vago odore di cloro che neppure una doccia lunghissima e ricca in schiuma riesce a cancellare del tutto. Ma questa è, credo, un’altra storia.
Due. Mi piace mangiare con lui. Lui lui, il mio sympathetic character [come direbbe Alanis]. Mi piace sedermi attorno a minuscoli tavolini per due. Assaggiare dal suo piatto, bere un po’ di birra dal suo bicchiere, dividere un piccolo gelato o un mirto. Potergli raccontare e ascoltare, sapere, di tutto quel tempo che ci separa, che ci divide. Delle cose belle, delle cose meno belle, delle cose brutte e delle cose che fanno ridere e delle cose che, a volte, fanno piangere. Di quella solitudine che si prova a stare insieme senza stare insieme [quando spengo la luce prima di dormire, quando sono stanca, quando sono in treno la mattina presto o la sera tardi, quando vorrei parlare, quando vorrei stare in silenzio, quando ho paura, quando sono triste, quando sono felice]. Di quella solitudine che sembra lontanissima da quel tavolo e da quelle dita che si toccano ma che è lì, dietro l’angolo, e la cui ombra mi intristisce già lo sguardo mentre ancora sorrido. Mi piace mangiare insieme per questo e per altre ragioni. Perché mi fa sentire a mio agio, perché mi fa sentire tranquilla, perché mi fa sentire libera. Il mio amore mi ha resa libera. Ma credo che, anche questa, sia un’altra storia.
Tre. Mi piace camminare. O correre a volte. Mi piace muovermi sulle gambette. Per Milano, al parco, lungo sentieri minuscoli, sulla rive del mare. Ovunque. Mi piace camminare, mi piacciono le sensazioni che ne derivano. Mi piace perché mi rasserena [quasi come scrivere], mi calma, mi fa sentire meglio anche quando mi sento peggio. Camminare da sola. Camminare con qualcuno vicino. Camminare piano o in fretta, correre. Dipende del tempo, dal luogo e dal momento. Da come mi sento. Camminare spesse volte è un buona soluzione. Soprattutto. Mi piace poi quando arrivi “in cima”, rellaneti, ti fermi e piano piano il muscoli si raffreddano e ti sale sulla schiena un brivido strano.
Quattro. Sono una pessima cuoca ma mi piace cucinare. So fare poche cose ma ho fantasia e credo che avendone l’opportunità sarei una cuoca forse non brava ma fantasiosa [nel caso aprirò un blog di cucina]. In genere faccio una torna di mele iperdietetica che io adoro ma che [non so proprio come mai] non incontra un grande successo tra gli assaggiatori che l’hanno definita in svariati modi [tra i quali “mele compresse”]. Tuttavia io vado dritta dritta per la mia strada e persevero nel mio mondo creativo incompreso. Mai rinunciare a qualcosa che ci piace solo perché non si è compresi [anche se, lo ammetto, vedere la nonna che butta la sua parte di dessert nel water un po’ fa vacillare].
Cinque. Mi piace fare la malattuccia sul divano. Non che capiti molto spesso, anzi non capita mai. Però mi piace. Quelle influenzine leggere [37.5 massimo e magari un po’ di diarrea] che ti spalmano sul divano con addosso vestiti morbidissimi e accanto una tazzona monumentale di te tiepido [che sta li a ristagnare facendo quella strana pellicola sulla superficie], che ti autorizzano a non lavorare [ormai un sogno] ma senza farti stare veramente male male male. Ecco. Mi piace starmene lì inerme di fronte al palinsesto di telefilm snocciolati nel pomeriggio [e magari, nella situazione ideale, qualche cartone animato vintage], sommersa dai fazzoletti di carta appallottolati e completamente avulsa dal mondo reale. Diciamo che più che mi piace mi piacerebbe.
Sei. Mi piace viaggiare, nel senso di stare in viaggio. Mi piace proprio quell’intervanno di tempo che è il viaggio. Mi piace viaggiare in treno soprattutto, ma non trascuro tram, metropolitana, aeroplano ed auto da passeggera quando necessario. Amo stare sospesa in quel tempo di spostamento da un punto all’altro. I cambi, i ritardi, gli scali e tutto il resto sono pane per i miei dentini. Che si tratti del viaggio pendolare sul treni regionali ripieni di gente la mattina e mezzi vuoti la sera tardi, degli eurostar sonnacchiosi Roma-Milano del mattino presto, degli intercity plus per la Liguria eternamente in ritardo in afosi venerdì sera d’estate, dei bus extraurbani per andare in laboratorio pieni delle persone più strambe, dei voli presi da sola o con qualcuno da tenere per mano al decollo, eccetera eccetera eccetera. Io amo viaggiare. Ed i terminali di trasporto [stazioni, aeroporti, porti, ecc ecc ecc] esercitano su di me un fascino complesso ed emozionale, che mi fa venir voglia di scrivere, di fotografare, di fissare gli istanti. Ma questo, lo ammetto, è un’altra storia.
Una. Mi piace andare a nuotare il sabato mattina. Assolutamente orribile con cuffia ed occhialini, [entrambi azzurri]. Inguardabile. Lascio le infradito [anch’esse azzurre] vicino al bordo e scivolo nell’acqua tiepida e azzurra [pure lei] causa piastrelline sul fondo e sulle pareti. Corsia due. E, puntolino azzurro nell’enormità [mica troppo] della vasca azzurra [nel blu dipinto di blu] mi do una spinta coi piedi contro la parete e mi lascio nuotare. Non esiste più il tempo, lo spazio, i pensieri. Solo i numeri [delle vasche] e quella sensazione di acqua sotto, sopra e tutt’intorno. Dentro. I suoni liquidi del mio respiro che viene a galla. Senza peso. Senza pesi.
Se mi piace nuotare il sabato mattina non disprezzo neppure quella sensazione di stanchezza che me ne rimane addosso, e quel vago odore di cloro che neppure una doccia lunghissima e ricca in schiuma riesce a cancellare del tutto. Ma questa è, credo, un’altra storia.
Due. Mi piace mangiare con lui. Lui lui, il mio sympathetic character [come direbbe Alanis]. Mi piace sedermi attorno a minuscoli tavolini per due. Assaggiare dal suo piatto, bere un po’ di birra dal suo bicchiere, dividere un piccolo gelato o un mirto. Potergli raccontare e ascoltare, sapere, di tutto quel tempo che ci separa, che ci divide. Delle cose belle, delle cose meno belle, delle cose brutte e delle cose che fanno ridere e delle cose che, a volte, fanno piangere. Di quella solitudine che si prova a stare insieme senza stare insieme [quando spengo la luce prima di dormire, quando sono stanca, quando sono in treno la mattina presto o la sera tardi, quando vorrei parlare, quando vorrei stare in silenzio, quando ho paura, quando sono triste, quando sono felice]. Di quella solitudine che sembra lontanissima da quel tavolo e da quelle dita che si toccano ma che è lì, dietro l’angolo, e la cui ombra mi intristisce già lo sguardo mentre ancora sorrido. Mi piace mangiare insieme per questo e per altre ragioni. Perché mi fa sentire a mio agio, perché mi fa sentire tranquilla, perché mi fa sentire libera. Il mio amore mi ha resa libera. Ma credo che, anche questa, sia un’altra storia.
Tre. Mi piace camminare. O correre a volte. Mi piace muovermi sulle gambette. Per Milano, al parco, lungo sentieri minuscoli, sulla rive del mare. Ovunque. Mi piace camminare, mi piacciono le sensazioni che ne derivano. Mi piace perché mi rasserena [quasi come scrivere], mi calma, mi fa sentire meglio anche quando mi sento peggio. Camminare da sola. Camminare con qualcuno vicino. Camminare piano o in fretta, correre. Dipende del tempo, dal luogo e dal momento. Da come mi sento. Camminare spesse volte è un buona soluzione. Soprattutto. Mi piace poi quando arrivi “in cima”, rellaneti, ti fermi e piano piano il muscoli si raffreddano e ti sale sulla schiena un brivido strano.
Quattro. Sono una pessima cuoca ma mi piace cucinare. So fare poche cose ma ho fantasia e credo che avendone l’opportunità sarei una cuoca forse non brava ma fantasiosa [nel caso aprirò un blog di cucina]. In genere faccio una torna di mele iperdietetica che io adoro ma che [non so proprio come mai] non incontra un grande successo tra gli assaggiatori che l’hanno definita in svariati modi [tra i quali “mele compresse”]. Tuttavia io vado dritta dritta per la mia strada e persevero nel mio mondo creativo incompreso. Mai rinunciare a qualcosa che ci piace solo perché non si è compresi [anche se, lo ammetto, vedere la nonna che butta la sua parte di dessert nel water un po’ fa vacillare].
Cinque. Mi piace fare la malattuccia sul divano. Non che capiti molto spesso, anzi non capita mai. Però mi piace. Quelle influenzine leggere [37.5 massimo e magari un po’ di diarrea] che ti spalmano sul divano con addosso vestiti morbidissimi e accanto una tazzona monumentale di te tiepido [che sta li a ristagnare facendo quella strana pellicola sulla superficie], che ti autorizzano a non lavorare [ormai un sogno] ma senza farti stare veramente male male male. Ecco. Mi piace starmene lì inerme di fronte al palinsesto di telefilm snocciolati nel pomeriggio [e magari, nella situazione ideale, qualche cartone animato vintage], sommersa dai fazzoletti di carta appallottolati e completamente avulsa dal mondo reale. Diciamo che più che mi piace mi piacerebbe.
Sei. Mi piace viaggiare, nel senso di stare in viaggio. Mi piace proprio quell’intervanno di tempo che è il viaggio. Mi piace viaggiare in treno soprattutto, ma non trascuro tram, metropolitana, aeroplano ed auto da passeggera quando necessario. Amo stare sospesa in quel tempo di spostamento da un punto all’altro. I cambi, i ritardi, gli scali e tutto il resto sono pane per i miei dentini. Che si tratti del viaggio pendolare sul treni regionali ripieni di gente la mattina e mezzi vuoti la sera tardi, degli eurostar sonnacchiosi Roma-Milano del mattino presto, degli intercity plus per la Liguria eternamente in ritardo in afosi venerdì sera d’estate, dei bus extraurbani per andare in laboratorio pieni delle persone più strambe, dei voli presi da sola o con qualcuno da tenere per mano al decollo, eccetera eccetera eccetera. Io amo viaggiare. Ed i terminali di trasporto [stazioni, aeroporti, porti, ecc ecc ecc] esercitano su di me un fascino complesso ed emozionale, che mi fa venir voglia di scrivere, di fotografare, di fissare gli istanti. Ma questo, lo ammetto, è un’altra storia.
A voi. rsvp.
2 commenti:
Mi hai fatto tornare in mente periodi (passati) della mia lunga vita. Il cloro di una piscina. Il piluccare nel piatto del mio ex marito, che si incazzava come una bestia. Quando potevo camminare a lungo, anzi correre, prima che mi venisse l'accidente alla gamba destra (almeno, quando sto male, posso atteggiarmi ad House in gonnella). Quando provo a sperimentare, in cucina, e mio figlio mi dice:" Domani vado a mangiare dalla nonna". Quando mi ammalavo e mi attapiravo sul divano.Ma ad ammalarsi da soli, senza un minimo di accudimento, non c'è gusto. Quando viaggiavo. Ma quella è una cosa che devo riprendere al più presto.
grazie, Onigiri. :)
mi hai fatto sorridere!!! ho molto apprezzato il punto in cui narri dello stare sdraiata in preda alla lieve malattia... e alla diarrea!!! troppo forte.
e secondo me tua nonna dev'essere un bel tipino. ne avevi parlato anche in un vecchio post, e anche allora mi avevi fatto sorridere.
anche a me piace il viaggio. e trovo che un viaggio in auto nn sia un vero viaggio se manca la sosta in autogrill. gli autogrill hanno qualcosa di magico... e inspiegabile. e poi ci sono gli aereoporti, le stazioni... mi vien voglia di partire!
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