Il treno della sera è mezzo vuoto. Tre persone scarse su questo vagone, il secondo. Stiamo tutti in silenzio. Allungo le gambe verso il sedile di fronte distendendo un po’ i muscoli tesi.
Scarabocchio qualche parola con la penna blu sul retro di fogli stampati, appoggiata al libro di inglese. Il ragazzo che ci insegna inglese è il mio tipo. Decisamente. Capello rosso e pancetta da birra. Un po’ troppa pancetta da birra a dire il vero. Penso che la mia pronuncia lasci ancora a desiderare. Penso che tutto sommato preferisco scrivere in italiano. Un po’ per povertà di linguaggio, certo. Un po’ perché, non so. L’italiano è una bella lingua da scrivere. Secondo me. L’inglese si ascolta con piacere. Ma per scrivere. Beh, per scrivere ci vuole l’italiano.
Un’occhiata distratta fuori dal finestrino: solo buio. Forse rimpiango di non aver studiato lettere. No. Nessun rimpianto. Scegliere che fare della mia vita non è mai stato semplice, e soprattutto non lo era dieci anni fa quando ho tirato in aria una moneta e ho scelto la mia strada tra le mille che affascinavano la mia immaginazione. E ho ancora quel modo un po’ romanzato di vedere le cose. Di immaginarmi in piedi sopra una collina durante un temporale ad attirare fulmini.
Oggi mi hanno detto che tutto ha un suo certo quel senso. Un filo degli eventi. Ci credo a metà. Ma la metà che ci crede ci crede fino in fondo.
Non so se sarò abbastanza brava da guadagnarmi il mio posto qui. Non so se sarò mai abbastanza brava da pubblicare un romanzo. Le due cose mi sembrano ugualmente improbabili stasera. Ma il treno entra traballante in stazione. È una fredda sera di gennaio. E a me piace sognare.
Scarabocchio qualche parola con la penna blu sul retro di fogli stampati, appoggiata al libro di inglese. Il ragazzo che ci insegna inglese è il mio tipo. Decisamente. Capello rosso e pancetta da birra. Un po’ troppa pancetta da birra a dire il vero. Penso che la mia pronuncia lasci ancora a desiderare. Penso che tutto sommato preferisco scrivere in italiano. Un po’ per povertà di linguaggio, certo. Un po’ perché, non so. L’italiano è una bella lingua da scrivere. Secondo me. L’inglese si ascolta con piacere. Ma per scrivere. Beh, per scrivere ci vuole l’italiano.
Un’occhiata distratta fuori dal finestrino: solo buio. Forse rimpiango di non aver studiato lettere. No. Nessun rimpianto. Scegliere che fare della mia vita non è mai stato semplice, e soprattutto non lo era dieci anni fa quando ho tirato in aria una moneta e ho scelto la mia strada tra le mille che affascinavano la mia immaginazione. E ho ancora quel modo un po’ romanzato di vedere le cose. Di immaginarmi in piedi sopra una collina durante un temporale ad attirare fulmini.
Oggi mi hanno detto che tutto ha un suo certo quel senso. Un filo degli eventi. Ci credo a metà. Ma la metà che ci crede ci crede fino in fondo.
Non so se sarò abbastanza brava da guadagnarmi il mio posto qui. Non so se sarò mai abbastanza brava da pubblicare un romanzo. Le due cose mi sembrano ugualmente improbabili stasera. Ma il treno entra traballante in stazione. È una fredda sera di gennaio. E a me piace sognare.
1 commento:
Condivido il tuo dubbio...
Il dubbio di quelli che hanno pagine e pagine scritte da qualche parte e non sanno cosa e come farne.
Chissà... forse un giorno viaggeranno verso qualche meta.
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