venerdì 2 novembre 2007

nè il giorno nè l'ora

a casa. rannicchiata sulla mia sedia bevo un te rovente alla vaniglia. e sto con me. un libro. una sciarpa di lana. la perfetta combinazione di noi due. ieri. la perfetta incertezza di me stessa. oggi. sottovoce. in punta di piedi. in controluce. io. ho addosso questa sensazione che non so spiegare. un specie di brivido in fondo alla schiena. un'inquietudine senza spiegazione. l'assurdo timore che la mia sensazione possa in qualche modo concretizzarsi. ma non sono una strega. me lo dico e me lo ripeto. devo smetterla di lasciarmi sopraffare dalle sensazioni, dai presentimenti. troppa banana yoshimoto nel mio cervello per non dedicare alla sensazione che ho adesso, addosso, almeno un pensiero.
ho imparato che la tranquillità delle vita è precaria. temporanea. che basta un attimo per cambiare tutto. che le abitudini, per quanto confortanti, hanno i minuti contati. niente è per sempre. e questo mi lascia inquieta. allerta. poichè non so nè il giorno nè l'ora.
un altro sorso di te caldo sulle mie labbra. non poso permetterlo. non posso lasciarmi sopraffare dalla paura di vivere, perchè non sarebbe più vivere. eppure di nuovo un brivido in fondo alla schiena.

mercoledì 31 ottobre 2007

Pensieri al vento

Bevo un te alla vaniglia sperando mi tolga di dosso questa nausea dolciastra. Cerco di ridare un ordine ai ritagli del mio tempo, come sempre scombinati dell’incalzare degli eventi. E io persa e dispersa in quel mio assurdo e disperato bisogno di rimettere tutto a posto. Questo mio strano approccio al tempo in una sorta di sindrome dei pensieri senza riposo. La verità suona come sconcertante alle mio orecchie. La mia voce negli ultimi tempi si fa pericolosamente sincera nella mia testa. E ora mi vedo per quella che sono, nuda. È la verità è che ho paura. Paura di sbagliare, di ferirmi, di scivolare ancora dentro il labirinto di tutti i mie sbagli. Respiro. Respiro di nuovo. Un’occhiata fuori all’autunno che brucia di colori e di un sole stanco. Quel senso di vertigine. L’unico modo di mettermi alla prova a provare. L’unico modo per cambiare è chiudere gli occhi e lasciarmi andare. Posso farmi prendere dal panico, quel panico puro che suona sordo e vuoto, segna significato. Oppure posso riordinare i ritagli del mio tempo e dargli una nuova forma che sia mia. E lo faccio. Perché quattro giorni di vacanza non possono terrorizzarmi. Non ha senso. Metto cerotti sulle ferite. Legna a bruciare nel piccolo fuoco tra le mie mani. Nastro adesivo per tenere insieme i pezzi. Tutto quello che so fare. Farò. E mostrerò disinvoltura agli specchi pur sentendomi dentro mordere da questa paura. Di me stessa. Cionostante. Mi lascio andare.

martedì 30 ottobre 2007

un biscotto nuovo



Un mal di testa record che perdura da settantadue ore mi ha confuso e schiarito i pensieri in una progressione di stati accelerata e devastante. Ora sono come immobile di fronte al dato di fatto che le foglie del mio albero sono diventate, simultaneamente ed istantaneamente, gialle. Immobile davanti al perfetto spettacolo dell’autunno che esplode, finalmente. Il mal di testa lascia lentamente il posto alla sua persistente eco. E i pensieri mi sfarfallano intorno con un fruscio di ali da far girare la testa.
Le immagini dei giorni scorsi sono impresse in seppia nella memoria. Frammenti di sorrisi e lacrime, occhi e labbra, birra amara a piccoli sorsi e braccia morbide tra cui sciogliere ogni dolore. Io come un groviglio di corde tese e spine e filo di ferro. Mille inquietudini ad affollare i miei nervi carichi di elettricità di scintille a lampi. Domande, problemi, pretese, richieste, desideri, doveri, rimorso, perdono, dolore, rabbia, gioia, timore, coraggio, costanza, pazienza, frustrazione, stanchezza. Mal di testa. Une tempesta dentro una tazza sbeccata. La mia. E frammenti che vengono a galla confusi. Lacrime e parole che si rincorrono combinandosi a caso fino a sfinirsi. E poi tu. Come vento. Come pioggia. Come marea. A riempire ogni piccolo angolo. Ad annegare ogni più piccolo spazio di morbido vento e acqua fresca. La calma. Il silenzio. L’equilibrio. La serenità. Tutto quello che mi manca. Tutto quello che perdo come si perde un biscotto in una tazza in tempesta. E più cerchi di acchiapparlo con il cucchiaio più la tempesta aumenta e più il biscotto si inzuppa e si fa in mille inutili pezzi, fino a svanire sfatto, sciolto. E tu sei la mano fatata che mi mette tra le mani un biscotto asciutto e perfetto e mi da la chance di provare di nuovo.
Per questo. E per molto ancora. Grazie.