Dietro le persiane chiuse l'alba saliva lenta. Lenta come sanno essere le albe di settembre, incerte tra la morbidezza autunnale delle nuvole e i bagliori dell’estremo giorno d’estate. Guardavo la luce cambiare a poco a poco, sperando che il giorno potesse tardare ancora un po’. Alla fine la luce ha avuto la meglio e il cielo si è tinto dei colori disperata della fine dell’estate, sebbene il sole sia tiepido e il blu del cielo carico di malinconia.
Questo l’inizio. Di un giorno che si consuma lento come l’alba che lo ha visto nascere e come sarà la sera che lo porterà verso una nuova stagione. Astronomica. Ma non solo.
Porto addosso una stanchezza dolciastra solo in parte dovuta alle troppe albe accumulate dentro i miei occhi. Una giornata nervosa con cui fare la guerra. Lacrime fiorate. Reazioni smorzate ed inefficaci. Rimproveri. Arrendevoli giustificazioni. Desideri confusi. E sopra tutto, doppiamente insopportabile, la consapevolezza che confusione ed incertezza non porteranno altro che altra confusione ed altra incertezza e, probabilmente, ad una nuova disfatta. Ma in giorni così, si sa, si può finire schiacciati dal peso insostenibile della propria incertezza. E per un attimo metto tutto da parte e provo a guardare le cose le cose da un altro punto di vista.
Ho imparato a farlo. A mettere le cose da parte e lasciarmi sopraffare dalla stanchezza al punto da sentirmi quasi serena. Non ho mai imparato a guardare le cose da altrove. Probabilmente la fase più dolorosa è il divenire. Come nascere. Come cambiare pelle. Probabilmente dico, perché non posso saperlo per certo. Ma può darsi che quando guarderò a me oggi riderò persino. La cosa non mi fa star meglio.
Sono le piccole cose, come sempre, a tenere in piedi il castello di carte. A farmi stare meglio. A farmi stare bene. I dettagli. I momenti. Le combinazioni di luce e colori, suoni, calore, profumi. Ogni cosa. Ogni più piccola cosa. Di me. Di noi. Del resto. Di tutto ciò che mi sta attorno. E dentro. E fuori. E negli occhi e nelle mani. La fortuna di essere capace di farmi sopraffare, di lasciarmi andare a questa tempesta sensoriale. L’estate che muta in autunno, il cielo, la terra e io.
E so. So che devo mettere le cose in ordine. So che devo chiarirmi le idee. So che devo affrontare le cose. Tutte. Una alla volta. Ma adesso, francamente, non mi importa di niente. La sera che mi scende addosso. Il vento che mi fa rabbrividire dentro abiti troppo leggeri. Non sento altro.
Nel frattempo ho compiuto ventinove anni. Francamente ventinove mi sembra un bellissimo numero.