venerdì 29 febbraio 2008

ghiacciolo

Milano è un po’ grigia in questo pomeriggio eppure io mi sento dentro una sera d’estate. Scherzi dell’immaginazione.
Scrivo novemila caratteri per una rivista e sono dentro il mio elemento. Quasi quasi avrei preferito fossero novemila parole. Ho riempito il calendario della prossima settimana di nuovi obiettivi. Nuove scadenze. Nuove sfide. Mi sento bene.
E non so perché mi perdo nell’immagine di questa sera d’estate fotografata nella mia mente chissà dove e chissà quando. O forse solo la somma di centinaia di pezzetti di sere diverse. Me la sento addosso, fresca di brezza sulla pelle, carezza di colori per i miei occhi stanchi. Straripante di nostalgia e malinconia e in fondo il suono di una musica lontana.
Porto alle labbra una tazza di caffè nero e caldo. Eppure sento il sapore di un ghiacciolo all’amarena, che lascia il sorriso dipinto di rosso. In una sera d’estate.
È venerdì. Poche questa settimana di ansia è finita. Per sempre.

ieri sera - fiume di me

Un corsa fino a Lambrate. L'asfalto del marciapiede che riflette le luci gialle della strada. Corro lungo i fili del tram. Le saracinesce abbassate. I bar che stanno chiudendo. Il suono dei miei passi. Sorrido. Corro. Mi sento stranamente leggera e libera. Salgo col respiro affannato le scale fino al binario 4. Il treno è troppo caldo. Tolgo la mia giacchina di maglia e la sciarpa, lunghissima. Allungo le gambe. E mi lascio scivolare fluida nel buio, verso casa.
Trovo una penna frugando nella mia borsa giappo. Mi metto a scrivere sul blocco. Scrivo di questa sera che sa di menta. E di me, che ci sono dentro. Con un sorriso accennato. Col mio sguardo incerto riflesso dal finestrino. Con la paura di sbagliare, di farmi male. Con la voglia di fare a pezzi i fogli che portano scritte le parole del mio stupido dolore di vivere.
Stop.
Tutto sembra più chiaro, più semplice, a quest'ora della sera. Ora che le ventole dei pc e le luci al neon sono spente. Ora riesco quasi a guardarmi dall'esterno. E se l'istinto è di distogliere lo sguardo, di difendermi, tengo invece gli occhi aperti e osservo i miei colori e i miei contorni.
Non è l'immagine edulcorata degli occhi degli altri. Nemmeno quella defomata della mia immaginazione. O quella strana riflessa dallo specchio, che ti guarda sempre negli occhi. Sono io. Un corpo e un'anima nudi nell'impietosa luce della sera.
Parlo di me. Di quello che vedo.
Io sono una brava ragazza. Banalmente. Un pò per scelta un pò per forza. Un pò perchè non so essere in nessun altro modo. Un bimbetta col broncio che porta a spasso il suo carattere mutevole e lunare come una cagnolino al guinzaglio. Un cagnolino abbasioso e magrolino.
Trasformo sciocchezze in guasti nucelari. Piango fiumi di lacrime. Grido in silenzio. Ma poi è un attimo a far tornare il sereno e il sorriso. Non conosco rancore. Ma bene l'orgoglio ferito di chi non sa serbare rancore.
Ho le mie guerre e le mie ferite. Cicatrici. Di tutte queste una.
Sulla mia pelle una riga bianca. Che brucia ancora a farci scorrere il dito sopra. La ferita della mia battaglia. Della mia guerra. Per il controllo. Sul mio corpo, sui miei istinti, sui miei desideri. Una guerra di nervi e silenzio. Parole non dette. Il fascino ingannevole della mia immagine riflessa. Perfetta. E poi vedere, occhi negli occhi, la paura. E gridare, graffiare, scalciare e stringere i pugni. Per trovare la strada per venire fuori da quel gigantesco inganno. Il controllo assoluto. E tornare a vivere. Alla luce. All'aria. Respirare con fatica coi miei polmoni contratti dallo sforzo. Di vivere. E imparare di nuovo a perdonarsi, a comprendersi, a perdere lo stramaledetto controllo.
E i segni sulla pelle, che rimangono, cicatrici imperiture a ricordarmi quello che ero e quello che sono. E sentire la voce di quello che non sono più. Il rimpianto fasullo dell'apparenza.
E quella paura. Che il mio nemico possa tornare. Paura che quella me stessa possa ancora far male. Odiarmi. Imparare ad amarmi. Guardarmi. Giudicare.
Ma stasera. Stasera grido con gli occhi. Con la bocca chiusa. Stasera ci credo.
Io sono quella che sono. Io sono quella che voglio essere. Stasera lo sento. Io non ho paura.

giovedì 28 febbraio 2008

tutto qui

Io credo che una spiegazione scientifica e razionale esista. Sospetto che sia qualcosa che riguarda la chimica. Ma, ovvio, è solo un sospetto. Ma un sospetto è già una buona alternativa all’incomprensibile. O forse un sospetto è un tentativo di nascondere le briciole sotto il tappeto. E forse, in conclusione, cerco sempre una spiegazione anche là dove una spiegazione, oggettivamente, non esiste.
Ci sono momenti, cose, stati d’animo che preferirei tacere. Tenere segreti e silenziosi dentro il mio stomaco. Perché sono sbagliati, perché li detesto, perché fanno rabbia e tristezza. Perché voglio essere giudicata per ciò che mi rende forte e non per mie debolezze. Perché voglio essere amata. Tutto qui.

mercoledì 27 febbraio 2008

non voglio pensare (ieri sera)

Metti una sera. Aggrovigliata sul letto. A piedi nudi. Una matita tra i denti e una tra i capelli. Scribacchio e cancello parole su un foglio a righe. Sento di nuovo quella sensazione che mi prende quando le parole sono troppe e la punta della biro troppo sottile per lasciarle uscire [tappo].
E rimango un po’ così, costipata, a guardare la notte scendere fuori dalla mia finestra e il mio profilo sfocato riflesso dal vetro. Nuvoletta di fiato. Sorriso.
Penso che mi sto allontanando. Penso che sto diventando un’estranea o qualcosa del genere. Penso che la mia vita la sto vivendo troppo lontana.
Penso alle mani di mia nonna che mi insegnano a scrivere ordinata sui quaderni a quadretti grandi delle elementari. Penso alla sua calligrafia. E lo stomaco mi si aggroviglia e si annoda stretto stretto. Quelle lettere ordinate e al contempo un po’ scarabocchiate hanno il sapore di qualcosa di così lontano da farmi sentire perduta. Ho in mente le immagini di un pomeriggio di chissà quando che, seduta al tavolo della cucina, cerco di far entrare dei tarallucci in una tazzina di caffè con dentro un dito di latte. Che paciugona.
Penso che era lì a guardarmi. Penso che c’è ancora ma io non sono più quella bambina e lei non è più quella donna. O forse si. Appoggio la fronte al vetro della finestra, abbastanza freddo da farmi sentire meglio.
Delle volte penso a lei quando era giovane. La immagino come nelle foto in bianco e nero che ho visto qualche volta per casa. La immagino ridere. Innamorata. Mangiare un gelato. Prendere il sole. Andare in bicicletta. Sciocchezze.
Delle volte penso a noi due, a come il tempo ha incrociato le nostre vite. Quel tempo che le dividerà, in un modo o nell’altro. E penso che un giorno sarò io, lei. Penso che la mia vita sarà fotografata in ricordi in seppia. Quelle stesse immagini che ora mi fanno a pezzi per la loro fragilità. Penso che avrò paura. Come ne ho. Penso che siamo fragili.
Poche macchine passano sulla strada fuori dalla mia finestra. Le luci gialle danno all’insieme un aspetto un po’ malinconico. Torno sul letto e accendo la tv su un canale a caso. Non riesco a scrivere stasera. Non voglio pensare.
...

martedì 26 febbraio 2008

farfalle

I colori filtrati da un velo bianco e grigio. Cammino sullo sfondo. In dissolvenza. Mentre mi sembra che tutto il resto scivoli via, altrove. Come i titoli di coda. La camera distoglie lo sguardo. E la vita continua, ma da un’altra parte.
La mia vita scandita da risvegli e tramonti. Da giorni che inseguono giorni. E notti di sogni e buio e poche stelle. Di luna che da piena comincia a farsi calante e increspa e sconvolge le mie maree.
Attimi intesi che fermano il flusso lo spazio di un battito d’ali [la farfalla che potrei essere]. Occhi negli occhi [che siano i miei o i tuoi]. Mani che danzano nell’aria [di nuovo farfalle, nei pensieri e nello stomaco] e scivolano lente indugiando sulla sensazione tattile delle superfici.
Orizzonti infiniti dentro agli occhi. Vento e sere serene dopo la follia di un temporale. Tempesta e labbra e solitudine e pieni e vuoti.
In queste nebbia sottile mi lascio fluttuare senza peso. Senza forma. Aspetto.

lunedì 25 febbraio 2008

chocolate free

Bevo il mio solitario caffè nero e scivolo fluida nella seconda metà della mia prima giornata chocolate free. È ora che la ragazza [io] riprenda il controllo. Senza eccedere nel dispotismo ma neppure nell’anarchia. Equilibrio e serenità. Le parole d’ordine scritte sul muro fuori dalla mia immaginaria finestra. Serenità ed equilibrio [fosse facile].
Detto ciò.
Oggi finisco con l’essere più triste di quanto la sola assenza di cacao lascerebbe supporre. Tutto in relazione al fatto di non essere, in sintesi, un animale poi così sociale [Non in valore assoluto, anche se in ogni caso, onestamente parlando, non credo mi si possa esattamente definire miss socievolezza]. Io amo avere del tempo tutto per me. E parlando di tempo per me lo intendo nel modo più assoluto del termine: mio. E quando, per qualche ragione, questo tempo mi viene sottratto e io ci sto male [fisicamente quasi], anche perché non posso rivendicarlo in quando non esistono ragioni oggettive al mio malessere e il rischio è quello di essere indirizzata verso un bravo specialista di disturbi della socialità o di essere più semplicemente [e con leggerezza aggiungerei] marchiata in fronte come una persona del pessimo carattere [sarà poi vero che tale accusa mi lascia indifferte?].
Non so se possa essere patologico il bisogno di estraniarmi e richiudermi in me stessa come dentro un bozzoletto per poter stare bene. Mica sempre. Ogni tanto.
Che sia perdermi tra le pagine di un libro, oppure scrivere e lasciarmi sopraffare al punto da dimenticare tutto quello che ho intorno [piccole cose, piccole fughe]. Che sia stare in silenzio e guardare fuori dal finestrino del treno, lasciando scorrere i pensieri dove vogliono andare [sarà normale che in dieci anni di viaggi in treno io non abbia mai parlato con nessuno e abbia sopportato con piacere simulato l’occasionale compagnia d’altri?]. Che sia correre la mattina nel parco silenzioso e sentire l’intensità della natura e del respiro [anche se corro spesso col mio papi, la cui presenza è tale da non disturbarmi affatto, anzi]. Che sia nuotare in una piscina affollata di estranei ed essere completamente sola [l’alternarsi dell’aria e dell’acqua, del silenzio e del rumore, il conteggio delle vasche]. Insomma: cose così.
Ho bisogno del silenzio. Ho bisogno di non dover parlare. Ho bisogno di ascoltarmi, di ascoltare i miei pensieri. Ho bisogno di quel tempo come l’aria che respiro.
Prima mi piaceva camminare sola per la città, senza meta [triste pensare che non ho più tempo]. Prima mi piaceva andare in bici a fare la spesa nel supermercato vuoto e girare per gli scaffali [e alla fine comprare solo lo yogurt e o le gallette di mais]. Mille le cose che mi piaceva fare. Ma il tempo è sempre meno e i momenti che riesco a trovare per me, di riflesso, sempre più preziosi [come ora, scrivere di sfuggita tra una cosa da fare a l’altra].
Per questo questa giornata è finita per l’essere triste oltre quanto concesso dal suo essere chocolate free. Per via delle intromissioni nel mio piccolo tempo rubato. Perché non ho possibilità o ragione per rivendicarlo questo tempo, posso solo mandare giù il sassolino scabro e far finta di essere come non sono [normale?]. Far finta che non faccia male. E allora comincio a cercare altri momenti. A ritagliarmi altre cose. Per poter stare bene. Per mantemermi in piedi. Per mantenermi viva. E mi sembra che nessuno mi possa comprendere davvero.



Nota. Ho capito davvero che cosa era l’amore quando mi sono resa conto che poteva entrare nel mio tempo senza provocarmi dolore e creare un tempo nostro, non più solo mio. Un silenzio da condividere.

domenica 24 febbraio 2008

hello, how low?

Un pò malinconica suona dentro il mio stereo la cassetta [miodio: originale] di Nevermind. Il regalo di un compleanno che fu [sento le rughe farsi strada sul mio viso in tempo reale]. La cassetta è un pò usurata e la qualità del suono frusciante se messa a paragone con le meraviglie del digitale, ma ancora mi piace. Per lo meno il nastro non è tenuto insieme con lo scotch [un mio classico]. La stanza si riempie di quella meraviglia che è stata per me smellliketeenspirits e io scribacchio un pò a gambe incrociate sulla sedia.

Oggi mi vado stretta. Oggi la mia pelle è di una taglia di meno. Oggi vorrei avere di nuovo quindici anni per avere il diritto di stare come sto. Oggi vorrei essere fatta solo di aria e di acqua. Oggi vorrei mettermi a pancia in su e galleggiare. Oggi vorrei baci e carezze. Oggi vorrei vento nei capelli. Oggi vorrei addormentarmi e sognare. Oggi vorrei non avere niente da fare. Oggi vorrei fare il bagno nel mare. Oggi vorrei stare con te sdraiata a contare le stelle.
Oggi vorrei indietro il tempo che ho perso [frammenti, momenti di vita che ho rivoltato contro me stessa come coltelli affilati]. Oggi vorrei essere certa che non mi farò più male [eppure ho ancora paura]. Oggi vorrei camminare su una corda testa sopra una cascata [equilibrio]. Sentire gli spruzzi freddi sul viso e sentire il rumore assordante dell'acqua che cade dentro l'abisso. Ma poi, poi ricomincia a scorrere tranquilla. Oggi vorrei scorrere lenta come il Pò quando attraversa la pianura. Oggi vorrei un sacco di cose. Non so se abbia senso.

Il mio pesce rosso è morto il quattro aprile millenvecentonovantaquattro. Non so abbia senso ricordarmi ancora di questo strano caso di tempismi da goldfish rockettaro. Dopo quello non ne ho avuto altri. Lo stereo si blocca e gira da solo la cassetta. Quando l'ho comprato sta cosa mi sembrava stupenda. E adesso non serve più.

I found it hard, it was hard to find Oh well, whatever, nevermind...