venerdì 10 ottobre 2008

venerdì

Questa mattina non sono riuscita ad uscire di casa senza addosso il conforto della felpa di Lisa Simpson. Considerando il fatto che ieri mi sono proposta come Country Manager Assistant - qualunque cosa ciò voglia dire - temo questo denoti un conflitto di personalità o, forse, di persone. Ma sorvoliamo. La mia settimana pessima volge al termine, ma non sono ancora certa di poter tirare un sospiro di sollievo. La chiamano ansia. O forse apprensione. Beh, comunque la chiamino e qualunque cosa sia io mi faccio scudo con Lisa Simpson. E al diavolo.
Tengo la finestra aperta. Milano sta cominciando a diventare un pò troppo mediterranea. Questo autunno mite è strano, agrodolce. Questo autunno mi sta facendo impazzire.
Ma domani è sabato. Domani dimenticheremo tutto davanti ad un sushi e una birra. O altrove. A piece of love. At least.Io una Lisa Simpson l'assumerei. Ah, se l'assumerei.

giovedì 9 ottobre 2008

Immediate boarding

Sono completamente fuori fase. In senso elettrico. Galleggio sulle onde nell'infrarosso dei pensieri. Derive. Deve esserci qualcosa cui valga la pena appendersi. Affidarsi. Qualcosa. Di vecchio o di nuovo non importa. Qualcosa. Cosa. Non so. Torre di controllo. Ora che navigo sulle rotte incosistenti delle occasioni. Mancate. Tentante. Perse. O sfiorate appena. Le destinazioni sono infinite e in piedi davanti al cartellone partenze dell'aeroporto non riesco a leggere cosa è scritto sul mio biglietto. Per dove. E tutto intorno, appuntate al muro con puntine casuali, le preoccupazioni, le contingenze, le varie e le eventuali. Perchè è come doversi concentrare su mille cose al contempo. Perchè è come non concentrarsi su niente. Perchè è come. Smarrirsi. In corrente alternata. Dentro i cavi. Dentro i fili di queste giornate scariche. Sono io che sto fuggendo. O sono le cose che mi sfuggono tra le mani. Finirò col perdere qualcosa. Finirò col perdere qualcuno. Finirò a frugare tra i bagagli smarriti di un'aeroporto deserto alle tre del mattino. Per cercare cosa. Per cercare me. Chiudo gli occhi e spengo la luce sui miei pensieri. E' così assurdo desiderare. Desiderare. Non so nemmeno che.
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mercoledì 8 ottobre 2008

Andare oltre

Mani fredde. Le dita gelate strette attorno ad un bicchierino di caffè disgustoso. Non so che cosa dovrei provare. Rabbia, rimorso, rassegnazione, sconforto, tristezza, indifferenza. Seduta sul primo scalino col mento appoggiato alla ginocchia mi guardo le punte dei piedi. Non so davvero cosa dovrei provare. Sento solo stanchezza.

Cadere è solo un attimo e c’è solo da rialzarsi e camminare e correre e rischiare di inciampare di nuovo e poi rialzarsi ancora. Lo so. Ma sono stanca. E vorrei magari prendere a pugni lo specchio del bagno, urlare come quando poi ti manca il fiato e senti scoppiarti il cuore, usare parole che la mia voce non usa mai, prendere tra le mani lo schermo di questo computer sbilenco e gettarlo fuori dalla finestra sfondando i vetri. E invece resto immobile con in mano un caffè disgustoso che non serve neppure a scaldarsi le mani.

Così paziente, così costante, così affidabile. Sorridere magari, nascondersi dietro quell’ironia un po’ cinica e un po’ infantile. Che ho.

E mando giù cucchiaiate di vitamine, e tengo in tasca cerotti, e mangio proteine e bevo caffè schifosi dentro bicchierini di plastica. Continuo a correre. Ma sono stanca.

Ma la cosa peggiore è che detesto piangermi addosso in questo modo. E' un atteggiamento insopportabile. Io sono insopportabile. Sono stanca stanca stanca. Ma chi non lo è là fuori? Metto un certotto sulle ginocchia graffiate e non ci penso più. Vado oltre. Ovuque sia, questo oltre.



lunedì 6 ottobre 2008

oggi scrivo senza stile

Ho guardato il mio riflesso dentro lo specchio questa mattina, facendo finta di non avere nessuna paura. Di non provare nessuna emozione. Ho sistemato i riccioli con un paio di mollettine invisibili. Ho messo il rimmel sulle ciglia. Ho messo addosso un vestitino grigio e tacchi alti, per sembrare più grande, più professionale. Non credete a chi dice che l'abito non fa il monaco, lo sembravo. Più professionista. Ma anche più esile, più incerta. Arrivo con un buon anticipo. Mi fermo al bar all'angolo a bere un caffè sul quale spruzzo un pò di cacao. Il barista è gentile, mi regala un cioccolatino e mi augura buona giornata.
La sala del concorso è fredda, dopo dieci minuti ho già le mani gelate. Gli altri partecipanti, uomini più prossimi ai 40 che ai 30, parlano al cellulare o scrivono messaggi. Io mi guardo i piedi. I colloqui si succedono piuttosto monotoni, sono l'ultima della lista ma dopo due candidati comincio a sentirmi fuoriposto. Arriva il mio turno a ridosso della pausa pranzo. La psicologa mi martella di domande snervanti, supposto che fossi un'asociale con tendenza all'omidio seriale dubito che lo direi in questa sede e a lei. Ma è giusto che ognuno faccia il proprio lavoro. Spero almeno mi disegni un bel profilo.
Gli esaminatori mi piacciono, credo mi piacerebbe lavorare con loro. Ho già deciso che sono in gamba e io sono brava in quanto a prime impressioni. Non sono sicura che loro vedano la stessa cosa. Mentre con gli altri lo scambio di battute mi pareva tra pari io mi sento una specie di simpatico esemplare che fa colore e simpatia ma che, alla fine, non ci crede nessuno. (la grammatica è scorretta ma il signifcato chiaro). Se questa sia una mia impressione o la realtà dei fatti non so dirlo.
Fatto sta che mentre cammino verso la metropolitana sento salirmi il mal di testa in testa e scendermi sulla spalle e nelle dita delle mani la sensazione amara di una nuova sconfitta. Perchè anche se col mio riflesso dentro lo specchio faccio la dura, alla fine la prendo sempre male. Come una sconfitta.
Nell'attesa degli esiti formali mi trincero dietro la mia temporanea scrivania, prossima alla scadenza. Mangio il mio cioccolatino. Mi mordo un pò le dita. Cerdco di ritrovare il capo del gomitolo delle mie cose da fare, della me normale. Cerco di ritorvare quel pò di stabilità che ancora da questa mia quotidinità provvisoria, che conta i giorni alla rovescia. La vita è questa. Una lunghissima successione di prove. Non sempre si vince. Non io, almeno.


...e tu avevi vestiti adatti per le tue guerre stellari...