venerdì 30 gennaio 2009
blogS
re-open
Scrivere è una necessità e una condanna, un bisogno ed una liberazione. Soprattutto quando l’emozione di gonfia dentro come la marea. E la calma apparente viene tradita dallo sguardo. E come onde salgono per la gola la rabbia e la frustrazione, la paure e il più completo smarrimento. Istanti. Che passano e vanno a nascondersi tra le cose dimenticate, per difesa. Ma se ne scrivi, se ne scrivi resteranno. A ricordarti quella che sei adesso. A farti male. Forse servirebbe. O forse no.
A volte mi pare che ciò che non scrivo non esista. Ciò che non scrivo lo vivo solo a metà. E forse se ora non scrivessi quello che sento addosso non esisterebbe. Ma, l’ho detto, scrivere è una liberazione ed una condanna. E sono condannata a vivere fino in fondo. Per quanto cerchi di fuggire sempre qui dovrò tornare. Sempre a me stessa.
Mi sento come se fossi sempre sul punto di prendere il largo con la mia barca. Ma non partissi mai. Perché non c’è vento e non c’è benzina, né remi. E la mia barca resta a stagnare nella laguna e minuscole alghe versd si attaccano al suo scafo e la pioggia e il sole invecchiano il legno e le vele, la salsedine appanna i vetri.
Ed è frustrante. E penso quasi che la mia rabbia è tanta che se mi tuffassi in acqua portei spingere la barca a braccia. E mi fa soffrire. E mi sento esattamente così, dispersa ed inerme in un porto nel niente. Ad osservare il cielo per cercare segnali di speranza, il volo degli uccelli che anticipi l’arrivo di venti favorevoli. A rimanere soffocata dalla delusione quando la bonaccia sfinisce la mia pazienza. E mangia i giorni.
Ed è peggio sentirsi come mi sento. E come non voglio dire. Nella speranza di potermene dimenticare.