venerdì 8 febbraio 2008

la finestra socchiusa

La finestra semiaperta lascia entrare un soffio d’aria. Abbastanza freddo da farmi sentire meglio. Non così tanto da convincermi a chiudere. E a chiudermi. Dentro.
La giornata a studiare. Devo disegnare lo stato dell’arte, costruire la base per poi fare qualcosa di nuovo insomma. [Lo studio bibliografico come metafora della vita. Forse].
Non so dire quale sia il motivo ma studiare mi ha sempre fatta star meglio. Rasserenata. Calmata. Forse, banalmente, studiare mi piace.
Mi piace prendere i miei appuntini ordinati a margine. Temperare la matita fino allo sfinimento. Mettere segni, post it, frecce, sottolineature e riassumere in mille pagine scritte.
Mi piace imparare. Le cose nuove hanno su di me una certa attrazione, mi fanno sentire quella punta di entusiasmo frizzante che porta poi a far bene le cose. Spesso.
Quando ero perduta e autodistruttiva in fondo è nello studio che mi sono nascosta ed è da lì che sono ritornata a vivermi. Studiare è un po’ la mia catarsi. Rimette le cose nel giusto ordine, rimette tutto nella giusta prospettiva.
È per questo che non rimpiango le scelte che ho fatto. Perché mi permettono di rifugiarmi ancora e ritrovarmi di nuovo nella pagine stampate ammonticchiate sulla mia scrivania. Forse è un approccio infantile. Ma io lo trovo dannatemene stimolante e. Bello.
Ringrazio con un sorriso stanco e soddisfatto che mi ha permesso di lasciare la finestra socchiusa.

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giovedì 7 febbraio 2008

arance

Ci sono momenti, come questo, che mi sembra di dover spremere le mie energie come un'arancia rossa e dedicarle tutte a quello che sto facendo. La lista delle cose da fare sul mio tavolo è lunga e aritcolata in punti e sottopunti. "Il professore" incalza con idee sempre nuove e io che sviluppo, eseguo, dettaglio, scrivo, propongo. O tento di. E questo si beve un sacco di energie e vitamine. E il resto? Relegare il resto della mia vita ai ritagli di tempo mi fa sentire ancora più sfibrata e stanca. Mi da un pò di tristezza. Sbircio il cielo straordinariamente azzurro fuori e mi accarezza il calore leggero di un pensiero. Sorrido. La mia vita è lì fuori che mi attende. Ma è anche qui dentro che mi incalza. Ma io, io le sto dietro. O ci provo. Spremo l'arancia.

martedì 5 febbraio 2008

che farci?

La luce prende un po’ alla volta i toni più caldi del pomeriggio. E io mi lascio distrarre. Perdo l’orientamento. E sono di nuovo chissà dove. Cosa devo fare di me? Di questo mucchietto di idee. [Confuse quanto basta da farmi restare con la testa per aria, reali quando basta da tenermi i piedi per terra]. Di questa pelle. Di queste ossa. Di questi occhi. Di queste labbra. Di questa mani. Non so proprio. Cosa devo fare di me? Che non so essere reale fino in fondo e lascio sempre che qualcosa sia in sospensione nel liquido trasparente dei miei pensieri. Di me. Che non sono ancora capace di amarmi come si deve. Che non so mantenere l’ordine e mi lascio confondere. Che ogni volta arrivo alla soluzione e mi sembra una magia più che un risultato.
Che cosa devo fare di me? Delle mie scarpe da ginnastica. Delle mie mani fredde. Dei miei fogli scarabocchiati. Della mia codina attorcigliata in un elastico rosso. Del mio maglione col cappuccio. Del mio trucco leggero sbavato da un mal di testa feroce. Dei miei occhi troppo aperti causa di milione di prese in giro. Della curva della mia schiena un po’ a papera. Della sciarpa a righe intorno al collo. Delle mie penne e dei quaderni. Della mia playlist deprimente. Dei polsi magri. Dei guanti di lana. Di questa ragazzina di ventotto anni che cosa devo farci?

Finché dura

Inganno il freddo di questa mattina di sole con una tazza di orzo appoggiata di fianco alla tastiera. Il mio stomaco è di nuovo pieno di spine. Ma ho recuperato un blister di pastiglie tutto nuovo quindi i crampi non basteranno a rendermi inefficace. Perché, oggi, si da il caso che la ragazza sia molto efficace. O almeno cerchi di esserlo. Essere efficace ed efficiente è faticoso ma allo stesso tempo rilassante, e comporta il non spiacevole effetto collaterale di tenere i pensieri impegnati in altro. Non so quanto possa durare. Ma finché dura. Mi ci immergo corpo ed anima. Poi ci penso.

lunedì 4 febbraio 2008

Notti

Ci sono notti in cui non riesco a dormire. Ed è come se le ombre mi gonfiassero il cuore. Penso alle persone che amo e al fatto che inevitabilmente dovrò perderle. Il futuro mi sembra solo una promessa di dolore, misteriosa nel modo di dettagliarsi ma certa nel risultato. Mi sembra che il tempo che ho di fronte sia maledettamente breve, che incalzi e che la serie di eventi dolorosi che mi attende sia sul punto di innescarsi. Mi rendo conto che è irrazionale ma una sensazione di gelo mi soffoca in gola e, lo confesso, ho paura. Quella paura sorda e inutile, senza possibilità di soluzione, che ti da pensare alla vita, a volte. Quella solitudine. Quella sensazione di nido vuoto. E mi vedo sola con una pala in mano, sporca di terra per aver scavato e coperto tutte le fosse che era necessario scavare. L’immagine è troppo cruda, me ne rendo conto. Mi fa stringere lo stomaco e gonfiare gli occhi di lacrime asciutte. Sola. E questo è un fatto così devastante nella sua crudezza da lasciarmi ogni volta senza fiato. Sfinita.
Non che io viva stando sempre a pensare a questo. Ma un angolino nelle notti insonni nel quale lasciarmi atterrire dai pensieri più atroci non viene mai a mancare. Anche se, col tempo, sta acquistando sfumature nuove che rendono la mia angoscia vagamente meno angosciante. Quella sensazione di solitudine senza speranza viene piano piano scaldata da un calore nuovo. Dalla sensazione di non essere più sola. Un piccolo fuoco brucia nel centro del mio stomaco. Non sono sola. E se questo pensiero fa in nascere in me la paura di un ulteriore distacco. Il più doloroso forse. Questa paura non è sufficiente da sminuire neppure un attimo la sensazione di calore che mi pervade l’anima e scioglie a poco a poco il ghiaccio delle mie angosce. È una sensazione nuova. Timorosamente la osservo e ne assaggio il sapore.
Nella notti in cui l’angoscia mi tiene sveglia il calore di questo fuoco riesce, infine, a farmi addormentare.

domenica 3 febbraio 2008

And if a double-decker bus...

scaldo con un te verde pera&vaniglia l'improvviso freddo che mi è preso. l'improvvisa consapevolezza della distanza. del tempo. della pioggia che cade fredda e sottile sulla lunga striscia di asfalto che ci divide. o che ci unisce, a seconda di come la guardi.
ti sento dentro. dentro il mio stomaco. sotto la pelle. tra le dita. conto i giorni. le ore. i minuti. guardo i tuoi occhi dormire. e penso che ci saremmo potuti non incontrare mai. restare estranei. divisi. invece, ci siamo incontrati.
Take me out tonight
Take me anywhere, I don't care, I don't care, I don't care
And in the darkened underpass
I thought oh god, my chance has come at last...