mercoledì 16 aprile 2008

cherrycoke

Non so se sia normale. In effetti non credo. Comunque in questo periodo dormo male, non riesco ad addormentarmi e il sonno è frammentato, interrotto, scomposto e vagamente allucinato. La mattina mi piomba alle spalle traboccante di frenesia. Come se fosse passato un attimo dal momento in cui ho spento la luce. Come se in quell'attimo io avessi corso la maratona.
Il fatto è che ho un lista infinita di questioni irrisolte, di nodi da sciogliere, di problemi, di ansie, di cose. Roba complicata, varia, disomogea, intricata e munita di milioni di orribili tentacoli. Per poter essere affronata e risolta dovrebbe essere adeguatamente catalogata e messa in ordine mentre io me la metto di fronte in blocco e finisce per risultarmi un pò indigesta. Un pò molto, a prova di bicarbonato e limone.
Dicevo, non so se sia normale, ma il mio tempo insonne risulta essere il miglior tempo della giornata. Nel senso che il cervellino parte in quarta e macina macina macina e qualche problema finisce pure col risolverlo o, almeno, per indicarmi una via per. Questa mattina sono arrivata in ufficio effervescente e traboccante di soluzioni. Ok, la mia effervescenza come la cocacola lasciata senza tappo svanisce in fretta, col risultato che poi la cocacola fa schifo. Ma io non bevo cocacola e quindi poco mi importa. L'effervescenza finchè dura è bella.
Poi ovvio che dopo giorni di iperattività celebrale notturna ed azione applicativa diurna finisco con l'essere un pò fuori fase, una specie di ferrarelle nè liscia nè gassata, stato che, devo dirlo, detesto.
Ma l'importante è non rifletterci troppo.
Si, perchè finchè si tratta di scadenze e analisi e grafici il cervello di notte fa la sua sporca parte e risolve, ma se vengono al pettine quegli altri nodi, quelli esistenziali potrei forse azzardarmi a definirli, allora qui salta per aria tutta la baracca.
Quindi non penso. Sintonizzo i pensieri sulle frequenze a carattere pratico/lavorativo, macino di notte, agisco di giorno e così via. Senza respiro. Perchè se respiri ragazza sei finita.

martedì 15 aprile 2008

raccolgo l'invito

Cose che mi piace fare. Sei.
Una. Mi piace andare a nuotare il sabato mattina. Assolutamente orribile con cuffia ed occhialini, [entrambi azzurri]. Inguardabile. Lascio le infradito [anch’esse azzurre] vicino al bordo e scivolo nell’acqua tiepida e azzurra [pure lei] causa piastrelline sul fondo e sulle pareti. Corsia due. E, puntolino azzurro nell’enormità [mica troppo] della vasca azzurra [nel blu dipinto di blu] mi do una spinta coi piedi contro la parete e mi lascio nuotare. Non esiste più il tempo, lo spazio, i pensieri. Solo i numeri [delle vasche] e quella sensazione di acqua sotto, sopra e tutt’intorno. Dentro. I suoni liquidi del mio respiro che viene a galla. Senza peso. Senza pesi.
Se mi piace nuotare il sabato mattina non disprezzo neppure quella sensazione di stanchezza che me ne rimane addosso, e quel vago odore di cloro che neppure una doccia lunghissima e ricca in schiuma riesce a cancellare del tutto. Ma questa è, credo, un’altra storia.
Due. Mi piace mangiare con lui. Lui lui, il mio sympathetic character [come direbbe Alanis]. Mi piace sedermi attorno a minuscoli tavolini per due. Assaggiare dal suo piatto, bere un po’ di birra dal suo bicchiere, dividere un piccolo gelato o un mirto. Potergli raccontare e ascoltare, sapere, di tutto quel tempo che ci separa, che ci divide. Delle cose belle, delle cose meno belle, delle cose brutte e delle cose che fanno ridere e delle cose che, a volte, fanno piangere. Di quella solitudine che si prova a stare insieme senza stare insieme [quando spengo la luce prima di dormire, quando sono stanca, quando sono in treno la mattina presto o la sera tardi, quando vorrei parlare, quando vorrei stare in silenzio, quando ho paura, quando sono triste, quando sono felice]. Di quella solitudine che sembra lontanissima da quel tavolo e da quelle dita che si toccano ma che è lì, dietro l’angolo, e la cui ombra mi intristisce già lo sguardo mentre ancora sorrido. Mi piace mangiare insieme per questo e per altre ragioni. Perché mi fa sentire a mio agio, perché mi fa sentire tranquilla, perché mi fa sentire libera. Il mio amore mi ha resa libera. Ma credo che, anche questa, sia un’altra storia.
Tre. Mi piace camminare. O correre a volte. Mi piace muovermi sulle gambette. Per Milano, al parco, lungo sentieri minuscoli, sulla rive del mare. Ovunque. Mi piace camminare, mi piacciono le sensazioni che ne derivano. Mi piace perché mi rasserena [quasi come scrivere], mi calma, mi fa sentire meglio anche quando mi sento peggio. Camminare da sola. Camminare con qualcuno vicino. Camminare piano o in fretta, correre. Dipende del tempo, dal luogo e dal momento. Da come mi sento. Camminare spesse volte è un buona soluzione. Soprattutto. Mi piace poi quando arrivi “in cima”, rellaneti, ti fermi e piano piano il muscoli si raffreddano e ti sale sulla schiena un brivido strano.
Quattro. Sono una pessima cuoca ma mi piace cucinare. So fare poche cose ma ho fantasia e credo che avendone l’opportunità sarei una cuoca forse non brava ma fantasiosa [nel caso aprirò un blog di cucina]. In genere faccio una torna di mele iperdietetica che io adoro ma che [non so proprio come mai] non incontra un grande successo tra gli assaggiatori che l’hanno definita in svariati modi [tra i quali “mele compresse”]. Tuttavia io vado dritta dritta per la mia strada e persevero nel mio mondo creativo incompreso. Mai rinunciare a qualcosa che ci piace solo perché non si è compresi [anche se, lo ammetto, vedere la nonna che butta la sua parte di dessert nel water un po’ fa vacillare].
Cinque. Mi piace fare la malattuccia sul divano. Non che capiti molto spesso, anzi non capita mai. Però mi piace. Quelle influenzine leggere [37.5 massimo e magari un po’ di diarrea] che ti spalmano sul divano con addosso vestiti morbidissimi e accanto una tazzona monumentale di te tiepido [che sta li a ristagnare facendo quella strana pellicola sulla superficie], che ti autorizzano a non lavorare [ormai un sogno] ma senza farti stare veramente male male male. Ecco. Mi piace starmene lì inerme di fronte al palinsesto di telefilm snocciolati nel pomeriggio [e magari, nella situazione ideale, qualche cartone animato vintage], sommersa dai fazzoletti di carta appallottolati e completamente avulsa dal mondo reale. Diciamo che più che mi piace mi piacerebbe.
Sei. Mi piace viaggiare, nel senso di stare in viaggio. Mi piace proprio quell’intervanno di tempo che è il viaggio. Mi piace viaggiare in treno soprattutto, ma non trascuro tram, metropolitana, aeroplano ed auto da passeggera quando necessario. Amo stare sospesa in quel tempo di spostamento da un punto all’altro. I cambi, i ritardi, gli scali e tutto il resto sono pane per i miei dentini. Che si tratti del viaggio pendolare sul treni regionali ripieni di gente la mattina e mezzi vuoti la sera tardi, degli eurostar sonnacchiosi Roma-Milano del mattino presto, degli intercity plus per la Liguria eternamente in ritardo in afosi venerdì sera d’estate, dei bus extraurbani per andare in laboratorio pieni delle persone più strambe, dei voli presi da sola o con qualcuno da tenere per mano al decollo, eccetera eccetera eccetera. Io amo viaggiare. Ed i terminali di trasporto [stazioni, aeroporti, porti, ecc ecc ecc] esercitano su di me un fascino complesso ed emozionale, che mi fa venir voglia di scrivere, di fotografare, di fissare gli istanti. Ma questo, lo ammetto, è un’altra storia.

A voi. rsvp.


lunedì 14 aprile 2008

crumbs

Bevo un brick di latte di soia alla vaniglia. Piove su Milano. Il collo rigido mi ricorda di aver dormito su un cuscino non mio [e non è del tutto sapicevole, il ricordo dico]. Mi destreggio un pò spettinata [causa pioggia e sveglia presto] nell'incedere degli eventi, con addosso il sapore morbido delle piccole cose. Nostre. Una torta al cioccolato, un film di woody allen, una felpa grigia e una birra inglese solo parzialmente soddisfacente [un pò scialba]. Cose così. Cerco di tenere ai margini della mia attenzione le cose importanti, le cose pressanti che tolgono il sonno. Solo briciole deliziose raccolte con le dita dal fondo della scatola dei biscotti sulle labbra, dettagli da trattenere, ancora un pò. Un pò ancora.


it's only when I lose myself....