La città è fatta di vento e luce. Gli
architetti non hanno violato le altezze lasciando, come è giusto, il
cielo al vento. Vento che riempie le piazze e i viali e poi sfugge verso
il porto e le isole, al largo.
Il mio approccio è del tutto casuale, ma non saprei
come altro fare. La città ha un fascino un po’ da fine del mondo, che
mal si presta a programmi e destinazioni, ma solo ad un inatteso vagare.
Ma andiamo con ordine.
Il cielo ha un tono di azzurro che ti fa venire voglia di uscire la mattina, quanto è prestissimo ma il sole è già alto. Il vento è costante, un po’ troppo fresco forse, e accompagna le giornate dal tramonto all’alba, spingendoti qua e là come una foglia secca, con forza e delicatezza. Il mare è nascosto all’orizzonte da una moltitudine di isole, verdi e piatte, che chiudono lo sguardo. Non è il confine violento delle onde che si infrangono su una scogliera, non c’è la linea netta di separazione tra acqua e terra, non c’è di fronte il mare aperto verso le distanza. C’è solo un lento diradarsi delle terre in un mare grigioblu, come se non ci fosse nulla da dividere, come se più in là non ci fosse altro che lo sfumare, il perdersi. Questa è quell'idea "da fine del mondo", della quale sono inadeguata pittrice.
Azzurro il cielo,
dicevo. Ma non solo. Azzurro sarebbe forse il colore del vento, se ne
avesse uno. Ma ci sono l’oro delle cupole, il colore del legno di abete,
il rosso e il blu dei frutti di bosco sui banchi
del mercato, il bianco dei palazzi, il verde degli alberi che si
specchia nell’acqua cambiando appena tonalità. Manca alla città
quell’aspetto un po’ decadente delle città bagnate dal mare e sferzate
dai venti, i colori e le linee sono perfette sia da lontano
che da vicino. Ruggine e muffa non abitano qui.
Ho mangiato delle
piccole albicocche dal sapore di bacca. Ho bevuto un orribile caffè con
pane alla cannella e al cardamomo. Ho camminato in un parco che sembrava uscito dalla mia stessa immaginazione. Ho ascoltato una banda
militare che coreografava canzoncine leggere ed un rap in suomi che
faceva da sottofondo ad una domenica sulla spiaggia. Ho mangiato la
liquerizia salata nelle sue mille declinazioni ed ho avuto lo sconto al
supermercato per aver riportati i vuoti. Ho bevuto
la vodka. Ed ho fatto la sauna.
L’unica destinazione
inseguita sulla mappa e non capitata per caso è stata la kotiharjun
sauna. Esperienza che ha assassinato, non senza soddisfazione, ogni
pregressa esperienza o idea che potessi avere. I cadaveri delle
saune milanesi, delle spa e dei centri benessere non sono ancora freddi
mentre li scavalco e salgo al primo piano di un anonimo edificio in una
zona semicentrale, piano al quale si trova la sauna femminile. Lo
spogliatoio è bellissimo nella sua trascuratezza,
armadietti in legno più antichi che vecchi, una specchiera opaca,
tappetini scoloriti a terra e finestre aperte sulla piccola piazza di
fronte che lasciano entrare il vento e l’odore degli alberi e della
sera. Abbandonata ogni idea di costumino e ciabattine,
avvolta nell’asciugamano, affronto, tutta sola, la nudità del destino.
La prima porta si è apre su uno stanzone piastrellato con panchine in
pietra ed una lunga fila di docce che non ha nulla di bello ma che è
bellissimo, potrebbe essere ad Istanbul o in Marocco
ed invece è in un’anonima casetta sul baltico. La seconda porta si apre
sulla sauna, una grande stanza dalle pareti annerite dal fumo, gradoni
di cemento scuro e qualche seggiolino di legno. A terra le foglie secche
che entrano dalla piccola finestra o sono
portate dai piedi dei finlandesi che intermezzano la sauna con una
birra e quattro chicchere a piedi nudi sul marciapiede di fronte.
L’imbarazzo della
nudità e della scarsa dimestichezza con la pratica sono presto
dimenticate per una leggera rilassatezza, calda e fresca allo stesso
tempo, intervallata dallo scambio sorridente di qualche parola
con le altre donne in una lingua che, francamente, non so quale sia.
Finisco infine fuori
dal locale, rivestita e leggera, a bere un’acqua frizzante e godermi la
bellissima sera [combinazione perfetta di percezioni dei sensi, dalla
luce ai suoni, dai colori alla temperatura fresca
sulla pelle liscia come ] seduta anch’io sul marciapiede.
Amo la sauna.
La città detta il tempo ed ha un suono.
La calma ed il crepitio
della sauna, screziati appena delle voci e dei rumori della strada. La
quiete ed il silenzio dei parchi e delle rive, disturbati solo dal vento
e dai nostri passi. Il tempo della luce
pigra verso il tramonto, mai abbagliante, che illumina senza ferire. Il
tempo delle passeggiate nel mercatino del porto e della musica da
strada fuori dalla vetrine chiuse.
La città detta un tempo
ed ha un suono. Ha un suono che potrei stare ad ascoltare per ore, che
vorrei mettermi nello zaino e nascondere alla dogana del ritorno. Niente
da dichiarare.
[continua…]