giovedì 12 giugno 2008

che resti un segreto

Rimarrà qualcosa sotto la mia pelle, tra le mie dita, dentro i miei occhi.
Il cielo su Milano si è fatto denso di nuvole, il vento fresco dalla finestra, nell’aria suoni di tuoni e un odore vago di temporale. Resto in silenzio. Resta in silenzio il mio temporaneo compagno di scrivania. Temporaneo, come tutto attorno a me. Brutalmente, ora me ne rendo conto. Fa una battuta. Sorrido. Forse non abbastanza. Potremmo parlare un po’, degli esami, della laurea, delle vacanze, delle domande, delle cose di cui si parla da studenti. Potrei lasciarmi distrarre. Ma non sono una brava conversatrice. E poi non faccio parte della categoria (Ah. Come era tutto più facile. Ah. Come erano grandi i sogni. Ah. Come ci credevo.). Se ne và. Sono sola. Coi miei pensieri.
Questa sera metto in tasca i pezzi di un altro sogno che non si potrà avverare. Una lacrima sola. Forse. Asciutta e silenziosa. Perché anche se non ci ho mai creduto in fondo ci credevo. Perché i sogni più grandi non si dicono ad alta voce, per paura che non si avverino. A volte però non si avverano lo stesso. E dirò che non mi importa. E dirò che è meglio così. E dirò che in fondo è quello che volevo. E sorriderò. E sorriderò ancora. E guarderò negli occhi quello che dovrà arrivare. E di nuovo inventerò un sogno nuovo. Ma adesso sono sola. Nessuno lo sa. Adesso posso starci un po’ male. Che resti un segreto.
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martedì 10 giugno 2008

innocente evasione

Un pomeriggio di giugno. Un vociare indistinto dalla finestra aperta. Suoni. Risate. Il rumore del traffico. L’aria entra come una brezza lieve e mi sfiora appena le spalle e poi vola via, di nuovo. Non fa ancora caldo nonostante manchino pochi giorni ormai all’estate. Le palpebre pesanti per una notte senza riposo. La scrivania invasa da una moltitudine di carte imploranti la mia attenzione. Il laboratorio da pulire. Persone da chiamare. Un milione di cose iniziate da finire. È una sensazione strana, il tenere in equilibrio così tante cose, come un giocoliere dilettante con una manciata di arance. È una sensazione ansiosa. Un mal di testa. Dalla quale mi concedo una fuga piccola piccola, un’evasione innocente.
Sono giorni strani questi, intensi e brevi come istanti, che mi implorano di essere scritti. E le parole mi si formano in testa e sbattono le ali come farfalle imprigionate in una scatola di vetro. E io non ho tempo e non ho spazio per lasciarle uscire. Le notti seguono i giorni e nuove albe annegano in pomeriggi troppo brevi prima che io possa rendermene conto. Rincorro un po’ di pace dentro il flusso turbolento del tempo. Rincorro sguardi e mani e pelle e voci. Afferro istanti, immagini, sfumature, frammenti, odori, suoni e ciascuno dei minuscoli dettagli di questa danza di sensazioni che mi danza intorno. Fotogrammi densi e intensi che colpiscono al cuore senza che la ragione riesca neppure a metterli a fuoco. Non c’è ragione. E cammino sola, un passo alla volta. E cerco me stessa nei percorsi complicati delle nuvole. A volte mi trovo. A volte mi ritrovo negli occhi di qualcuno, che mi guarda con occhi che sanno vedere meglio dei miei. A volte mi perdo. Ma perdersi non è sempre un male. Quando ci si sa ritrovare. E io, bene o male, mi ritrovo sempre. Seguendo quel minuscolo filo dorato dentro il labirinto, le tracce di briciole di biscotto che lascia chi si perde ma vuole farsi trovare.
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...in tutto questo sei il mio nord magnetico...