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...Quanti graffi da accarezzare
per tutti i cieli che possiamo tracciare,
tutte le reti del tuo odore
dentro gli oceani che dobbiamo affrontare...
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venerdì 23 maggio 2008
giovedì 22 maggio 2008
the soup of the day
Mi chiedo che cosa si possa scrivere in un pomeriggio così scrosciante di pioggia e silenzio. mi chiedo cosa ci si possa mettere dentro questo pomeriggio saturo di grigi per sentire meno freddo. [stanotte ho avuto freddo da morire, non ho chiuso occhio].
Io ci metterei una sera d’agosto.
Camminiamo lungo la via pedonale con addosso la stanchezza di una giornata di vento e vento [e forse di nuovo vento e qualche goccia di pioggia blu] a Innishmore. Lui fuma una sigaretta, forse un pallmall o una winstonblu. Io tengo le mani affondate nelle tasche di quella che con tutta probabilità è una felpa morbida col cappuccio. L’aria della baia la sera è fresca anche in agosto [avevo sempre freddo allora], ma le ragazze qui sembrano non farci caso, svestite in abitini svolazzanti mi fanno sentire penosamente inadeguata. La strada dalla casetta di Joan al centro è lunga ma i gabbiani sulla baia e i riflessi del tramonto distolgono l’attenzione dal resto. Lo prendo per mano e mi lascio un po’ trascinare. ‘Cosa mangiamo?’. L’idea di un estenuante valutazione dei locali e la scelta del miglior compromesso di qualità/prezzo/atmosfera mi sconforta un po’, anche perché il rischio di un errore è alto. Scegliamo un posto dove siamo già stati. Entriamo nel ristorante e l’aria calda e il profumo di cose da mangiare mi fa rendere conto di avere, nonostante la mia convinzione di esserne immune, fame. Il locale è quello che ci si può immaginare [bellissimo]. Legno e moquette verde, finestre a ghigliottina, separè tra i tavoli. La cameriera bionda ci fa sedere ad un tavolo, ci apparecchia e ci da i menù. ‘Io ho fame’, dice lui. Leggo. Leggo. Leggo. Sono troppo stanca per qualsiasi cosa ma non per una soup of the day [ma perchè non scrivono che cosa c'è dentro? speriamo non cipolle...] e delle baby potato [jacked potato, piccole patate roventi con un giubbetto alla arthur fonzarelli. ehy]. La cameriera, con un invidiabilissimo nasettino punteggiato di lentiggini, prende nota, un filetto [per lui], soup [la mia pronuncia della parola soup deve essere agghiacciante perché non sono mai compresa da nessuno] e baby potatoes come piovesse. Esita. Come sempre le mie ordinazioni non soddisfano mai chi di dovere. ‘That’s all’. Sorrido. Niente Beamish [ch'io odio] stasera, birre chiare, ambrate sotto le luci del locale. Sorride un po’. Mi prende la mano. Commenta ironicamente la mia nausea mortale sul traghetto e il mio umore acido e pungente nel giro in bici dell’isola. Siamo qui. Siamo esattamente dove avevamo sognato. Ride quando la cameriera ci porta i nostri piatti e non vuole credere che io non voglia topping per le patate, snocciolando una lista infinita di salse non si arrende a mi porta comunque un vasettino di salsa tartara esasperata dalla mia mancanza di buongusto. Ridiamo un pò mangiando le piccole patate roventi con la loro giacchetta. È perfetto. Come tornare a casa [in quella casa uscita da un romanzo di joseph o'connor e piombata diretta davanti ai miei occhi] e lasciarmi abbracciare per scaldarmi un pò. Mentre il buio è sceso sulla baia.
E' a questo che penso per scaldare questo pomeriggio gelido [dentro e fuori]. E' a questo penso per tenere insieme i miei pezzi oggi che sono sempre sul punto di infrangermi. E' a questo penso. E' a te che penso.
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martedì 20 maggio 2008
Rabarbaro
Piove. Io mi sento perfettamente allineata. Con questo tempo. Con questo spazio. Con questa luce. E lo detesto. Vorrei essere il sole. Ed invece, oggi, sono la pioggia.
La fine di maggio è sempre un momento malinconico e saturo di ricordi e di sensazioni che non possono essere espresse. La sensazione è di quelle che ti lasciano certe caramelle pescate dal cassetto della nonna, dolci ma con quel retrogusto amaro. Rabarbaro, o qualcosa del genere. Io, quelle caramelle, le adoro.
La fine di maggio. Davanti a casa mia appendono delle minuscole lucine e si parcheggia una minuscola giostrina, a mela. È arrivata ieri sera. E stamattina sono stata un po’ a guardarla, bagnata di questa pioggia grigia e odiosa, prima di decidermi a vestire i miei panni da grande e a muovermi verso qui. Ci sono momenti che vorrei così tanto restare dove sono che mi pare di riuscire a far rallentare il tempo fino quasi a fermarlo, ma è solo un attimo e poi eccomi. Dove devo essere. Non senza un briciolino di amarezza che, stavolta, di dolce non ha proprio nulla.
Ci sono momenti in cui mi sembra che il semplice mestiere di vivere mi stia indurendo, mi stia rendendo arida, asciutta. Mi sembra di perdere quell’intensità che mi era propria, quella capacità di cogliere i dettagli, le sfumature. Quella capacità di lasciarmi sopraffare dalle emozioni. Mi pare che la mia pelle sottile stia sviluppando un guscetto resistente. Il flusso delle mie parole, dei miei pensieri, mi sembra farsi meno fluido. Ma forse è solo questa pioggia. Ma forse è solo questo freddo intorno che non vuol passare.
La fine di maggio è sempre un momento malinconico e saturo di ricordi e di sensazioni che non possono essere espresse. La sensazione è di quelle che ti lasciano certe caramelle pescate dal cassetto della nonna, dolci ma con quel retrogusto amaro. Rabarbaro, o qualcosa del genere. Io, quelle caramelle, le adoro.
La fine di maggio. Davanti a casa mia appendono delle minuscole lucine e si parcheggia una minuscola giostrina, a mela. È arrivata ieri sera. E stamattina sono stata un po’ a guardarla, bagnata di questa pioggia grigia e odiosa, prima di decidermi a vestire i miei panni da grande e a muovermi verso qui. Ci sono momenti che vorrei così tanto restare dove sono che mi pare di riuscire a far rallentare il tempo fino quasi a fermarlo, ma è solo un attimo e poi eccomi. Dove devo essere. Non senza un briciolino di amarezza che, stavolta, di dolce non ha proprio nulla.
Ci sono momenti in cui mi sembra che il semplice mestiere di vivere mi stia indurendo, mi stia rendendo arida, asciutta. Mi sembra di perdere quell’intensità che mi era propria, quella capacità di cogliere i dettagli, le sfumature. Quella capacità di lasciarmi sopraffare dalle emozioni. Mi pare che la mia pelle sottile stia sviluppando un guscetto resistente. Il flusso delle mie parole, dei miei pensieri, mi sembra farsi meno fluido. Ma forse è solo questa pioggia. Ma forse è solo questo freddo intorno che non vuol passare.
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...troppe emozioni... [Bluvertigo]
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