mercoledì 21 novembre 2012

La fine del giorno (disoccupato)

Accade. Di non avere voglia.

La voglia di sedersi ed iniziare a cercare le parole e la punteggiatura, metterle in fila. Scrivere e cancellare.  Rileggere. Pensare e ripensare, vivere e rivivere.Accade di riuscire solo ad aspettare. Semplicemente attendere. In silenzio, in mezzo al foglio bianco. Magari farci solo un puntino. Tanto per.

.

Tralascerò i fatti quindi. Fatti e pensieri correlati. Ipotesi e conclusioni. Supposizioni. Premesse varie. Mi limiterò alle impressioni. Impressioni di novembre.
Perché è novembre, infine. Un novembre limpido e pieno di sole e azzurri cieli autunnali. Fa presto buio la sera. Torno a casa dentro le scarpette modella glutei di cui sto abusando e la casa è silenziosa dietro al porta chiusa. Tutto in ordine. Tutto al suo posto. 
Silenziosa dei miei passi scalzi e della musica quando la accendo. Del libri sugli scaffali e della coperta appoggiata sulla poltrona. La sera sempre consola, è la luce del mattino a ferire come un coltello.
Consola la luce accesa della cucina mentre tento di cuocere uno sperimentale hamburger vegetale. Consola aspettarti con il tg regionale in sottofondo. Consola sapere che è tardi e che posso essere libera di non aspettarmi più nulla da questa giornata. Consola l'odore del bagnoschiuma e la sensazione del pigiama addosso. Consola chiudere le persiane e buonanotte. E c'è ancora tempo perché sia domani.



mercoledì 24 ottobre 2012

15 ottobre

Nota 1. La stazione centrale e' bella. Ma alle sei di un giorno d'ottobre, dopo che il vento e la pioggia hanno riempito la notte e la città, e' bellissima. È bella da scriverci una canzone, da farci una foto, da imprimersela negli occhi a forza. È bella da farti desiderare di avere poesia abbastanza da poter non fare altro che il poeta per tutto il tempo che ti rimane.
...
Sotto un'alba grigia come acciaio ho abbandonato questa pianura bagnata, addormentandomi. Dormendo come si dorme sui sedili dei treni, con il collo innaturalmente piegato e le gambe costrette. Dormendo senza dormire, sognando senza sognare. Per svegliarmi oltre gli Appennini, verso Roma. Col sole fuori dai vetri. Dannata capitale! Tu che allunghi le gambe al sole, a scaldarle pigramente sotto questa luce eterna. 
Beware. Sto arrivando e di questi tempi non porto altro che pioggia e vento. Non porto con me che autunno.
....
Stivali ed ombrello in coda per un taxi, sotto questo sole che si fa beffe delle previsioni del tempo e del mio cappottino di lana blu. Conosco la strada e forse conosco già anche le parole.
Piove. Mentre guardo i visi sconosciuti e conosciuti seduti attorno al tavolo. Le voci. Non vorrei ma mi sento già altrove. Lo vorrei ancora meno ma forse desidero essere altrove.
...
Quando esco e' già tornato il sole. La città non è caduta sotto gli autunnali colpi delle mie ciglia. Mi saluta assolata come mi ha accolta. Indifferente.
Penso pensieri precisi ed affilati come rasoi. Come rasoi. So quale è la strada. Ma non so se ho la forza di iniziare a camminare. Eppure ho ascoltato la verità che è dentro le mezze verità e non mi può bastare.
...
Nota 2. La stazione centrale e' piena alle otto della sera. Milano e' fredda e le strade sono nere e lucide di pioggia. Sento male come ti può far male l'ingiustizia, l'impotenza. Mi sento sola come ti fa sentire sola tutta questa gente. Che chissà che pensa mentre aspetta e aspetta treni in ritardo per tornare a casa. E chissà dove è casa e chissà là chi aspetta. Scendo le scale ed esco fuori nell'aria fredda, sotto quel portico bianco e immenso che ancora una volta mi fa desiderare di scrivere una canzone, fare una foto, scovarmi dentro abbastanza poesia da poter non fare altro che il poeta. Per tutto il tempo che mi rimane. 

giovedì 13 settembre 2012

Higashi no Eden

Washington d.c., fronte casa bianca. Un ragazzo nudo con un cellulare e una pistola ed una ragazza con un cappotto rosso ed una valigia. Inizia così Higashi no Eden, prima di cedere il posto alla titol track degli oasis. 
11 ipisodi la serie e 2 film in coda.
Non male. Mi manca il secondo film, Paradise lost, al quale mi dedicherò stasera.
Merita. L'eta dei personaggi e' insolita per un anime e la trama sfugge ai consueti schemi. Una ragazza, Saki,  sfugge all'insostenibilità dell'incertezza che segue il termine degli anni universitari (e chi non ne sa qualcosa?!) e fa un viaggio negli USA dove incontra il nostro eroe, Akira, un ragazzo senza memoria, nudo e con una pistola, che alla prima occhiata ci appare come un terrorista.
Ma sarà così?
La ricerca della memoria perduta di Akira ha sullo sfondo il Giappone inquieto dei need e ferito dai crateri di uno "sconsiderato" attacco missilistico. Il migliore dei dodici selesao riuscira' a salvare il Giappone o spenderà' i suoi miliardi di yen per farlo a pezzi?
La trama ha un ritmo altalenante e personalmente ho apprezzato i rallentamenti piu delle accelerazioni. Il tempo lento delle attese e dei dettagli, che poi e' il tempo della vita reale. 
Perché la trama principale fatta delle regole della selesao, delle richieste impossibili soddisfatte da juiz e della mission impossibile di salvare il Giappone poggia su uno sfondo realistico e reale che e', a mia giudizio, la vera forza della storia. 
L'insoddisfazioe di Saki, i suoi colloqui fallimentari, la frustrazione di vivere alle spalle della sorella e del cognato, l'incertezza sua e dei need di Eden of East, combattuti tra i propri progetti e le sirene di una vita ordinaria (ed una volta realizzato il proprio progetto non rischiano essi stessi di diventare del tutto simili a ciò cui sono fuggiti? E' forse l'unico modo per sopravvivere in un paese che, tra le altre cose, ha messo una tassa del 100% sulle eredita') danno alla storia quel valore aggiunto che ti fa desiderare di non arrivare alla fine troppo in fretta.
I disegni sono belli. Punto. Ho letto qualche critica per l'aspetto troppo adolescenziale dei personaggi. Ma, mi chiedo, l'adolescenza non e' forse la gabbia della piccola Saki (solo sua?). Una gabbia dorata ma pur sempre una gabbia, chiusa da tanti, troppi lucchetti, le chiavi dei quali si conquistano solo a caro prezzo.
I personaggi quasi sempre riescono ad evitare gli stereotipi onnipresenti negli anime e anche se i caratteri risultano a volte riconoscibili non sono scontati. 
La storia d'amore e', come il resto, tenue. A volte esasperante nel suo nom esprimersi. Ma in fondo possiamo desiderare qualcosa di meglio della scena sul lungomare. Come to my place. Pazienza se poi e' Saki a dover andare su e giù per il mondo a ricordare al suo eroe di essere un eroe.
Voto 9.5



martedì 4 settembre 2012

Settembre

Aria di pioggia, anche se dicono che tornerà l'estate. Nel frattempo il treno passa in mezzo all'autunno nello spazio da qui a Milano. Buongiorno.
Non so se ne ho voglia. Di un'estate bugiarda di settembre. Voglio cose che non posso avere. E il resto che vada o venga come gli pare e piace.
Se domani tornerà il sole appenderò i pensieri fuori ad asciugare. All'aria. Forse poi sarà più facile leggerli e capire cosa vogliono dire. Ora stanno ammucchiati a terra come stracci bagnati. Un peso umido sopra il mio stomaco che soffoca nel non riuscire a capire. Cosa ci vuole per poter stare bene.
La serenità e' un attimo, poi e' il desiderio e la ricerca. O attesa.

Oggi posso solo attendere o lasciarmi perdere dal panico. Provo ad attendere, lasciando da parte i pensieri bagnati. Una cosa alla volta, prima questa giornata poi i panni stesi ad asciugare.


venerdì 31 agosto 2012

Finlandia #2 (Helsinki)

La città è fatta di vento e luce. Gli architetti non hanno violato le altezze lasciando, come è giusto, il cielo al vento. Vento che riempie le piazze e i viali e poi sfugge verso il porto e le isole, al largo.
Il mio approccio è del tutto casuale, ma non saprei come altro fare. La città ha un fascino un po’ da fine del mondo, che mal si presta a programmi e destinazioni, ma solo ad un inatteso vagare.


Ma andiamo con ordine.
Il cielo ha un tono di azzurro che ti fa venire voglia di uscire la mattina, quanto è prestissimo ma il sole è già alto. Il vento è costante, un po’ troppo fresco forse, e accompagna le giornate dal tramonto all’alba, spingendoti qua e là come una foglia secca, con forza e delicatezza. Il mare è nascosto all’orizzonte da una moltitudine di isole, verdi e piatte, che chiudono lo sguardo. Non è il confine violento delle onde che si infrangono su una scogliera, non c’è la linea netta di separazione tra acqua e terra, non c’è di fronte il mare aperto verso le distanza. C’è solo un lento diradarsi delle terre in un mare grigioblu, come se non ci fosse nulla da dividere, come se più in là non ci fosse altro che lo sfumare, il perdersi. Questa è quell'idea "da fine del mondo", della quale sono inadeguata pittrice.



Azzurro il cielo, dicevo. Ma non solo. Azzurro sarebbe forse il colore del vento, se ne avesse uno. Ma ci sono l’oro delle cupole, il colore del legno di abete, il rosso e il blu dei frutti di bosco sui banchi del mercato, il bianco dei palazzi, il verde degli alberi che si specchia nell’acqua cambiando appena tonalità. Manca alla città quell’aspetto un po’ decadente delle città bagnate dal mare e sferzate dai venti, i colori e le linee sono perfette sia da lontano che da vicino. Ruggine e muffa non abitano qui.






Ho mangiato delle piccole albicocche dal sapore di bacca. Ho bevuto un orribile caffè con pane alla cannella e al cardamomo. Ho camminato in un parco che sembrava uscito dalla mia stessa immaginazione. Ho ascoltato una banda militare che coreografava canzoncine leggere ed un rap in suomi che faceva da sottofondo ad una domenica sulla spiaggia. Ho mangiato la liquerizia salata nelle sue mille declinazioni ed ho avuto lo sconto al supermercato per  aver riportati i vuoti. Ho bevuto la vodka. Ed ho fatto la sauna.


L’unica destinazione inseguita sulla mappa e non capitata per caso è stata la kotiharjun sauna. Esperienza che ha assassinato, non senza soddisfazione, ogni pregressa esperienza o idea che potessi avere. I cadaveri delle saune milanesi, delle spa e dei centri benessere non sono ancora freddi mentre li scavalco e salgo al primo piano di un anonimo edificio in una zona semicentrale, piano al quale si trova la sauna femminile. Lo spogliatoio è bellissimo nella sua trascuratezza, armadietti in legno più antichi che vecchi, una specchiera opaca, tappetini scoloriti a terra e finestre aperte sulla piccola piazza di fronte che lasciano entrare il vento e l’odore degli alberi e della sera. Abbandonata ogni idea di costumino e ciabattine, avvolta nell’asciugamano, affronto, tutta sola, la nudità del destino. La prima porta si è apre su uno stanzone piastrellato con panchine in pietra ed una lunga fila di docce che non ha nulla di bello ma che è bellissimo, potrebbe essere ad Istanbul o in Marocco ed invece è in un’anonima casetta sul baltico. La seconda porta si apre sulla sauna, una grande stanza dalle pareti annerite dal fumo, gradoni di cemento scuro e qualche seggiolino di legno. A terra le foglie secche che entrano dalla piccola finestra o sono portate dai piedi dei finlandesi che intermezzano la sauna con una birra e quattro chicchere a piedi nudi sul marciapiede di fronte.
L’imbarazzo della nudità e della scarsa dimestichezza con la pratica sono presto dimenticate per una leggera rilassatezza, calda e fresca allo stesso tempo, intervallata dallo scambio sorridente di qualche parola con le altre donne in una lingua che, francamente, non so quale sia.
Finisco infine fuori dal locale, rivestita e leggera, a bere un’acqua frizzante e godermi la bellissima sera [combinazione perfetta di percezioni dei sensi, dalla luce ai suoni, dai colori alla temperatura fresca sulla pelle liscia come ] seduta anch’io sul marciapiede.

Amo la sauna.

La città detta il tempo ed ha un suono.
La calma ed il crepitio della sauna, screziati appena delle voci e dei rumori della strada. La quiete ed il silenzio dei parchi e delle rive, disturbati solo dal vento e dai nostri passi. Il tempo della luce pigra verso il tramonto, mai abbagliante, che illumina senza ferire. Il tempo delle passeggiate nel mercatino del porto e della musica da strada fuori dalla vetrine chiuse.
La città detta un tempo ed ha un suono. Ha un suono che potrei stare ad ascoltare per ore, che vorrei mettermi nello zaino e nascondere alla dogana del ritorno. Niente da dichiarare.






[continua…]
 

lunedì 13 agosto 2012

Finlandia #1

Il volo fa scalo a Riga. 
Tre ore di turbolenza per giungere in una Riga scrosciante.
Io sono in maglietta e ciabatte. Lungimirante come sempre.

Il mezzo che mi porterà da Riga ad Helsinki è minuscolo. Il mio vicino di posto è un tipo molto baltico che gocciolando da ovunque sia possibile gocciolare se ne sbatte della pioggia e continua imperterrito a leggere il suo tascabile fradicio. Io, per quanto mi compete, inzio a temere la polmonite e l'inadeguatezza del mio parco medicinali.

Ho il posto finestrino. Un posto in prima fila per osservare il mio trolley annegare sotto il diluvio in attesa di essere imbarcato ed un cimitero di aerei sovietici con la stella lasciati arrugginire tra l'erba. 
Il te verde mi viene portato con un fattina di limone infilzata in una spadina di plastica verde. Già mi sento baltica anch'io. Rimpiango però non avere una giacca ed un paio di calzini. Ma rimpiango anche di non aver previsto una sosta a Riga, che già mi piace. Metto la spada nello zaino, per ricordo. 

Arrivo ad Helsinki in 50 minuti. Sono già le otto e temo il peggio, ovvero non trovare nulla di aperto.
Ma la città è illuminata a giorno da un sole che sembra non voler scendere mai e spazzata da un vento baltico, appunto. Non c'è molta gente in giro di lunedì sera. Ma la città è bellissima. E una fetta di pane integrale con salmone e insalata russa non la nega a nessuno, persino alle dieci passate. Una birra da sei euro mette però in chiaro il fatto che in Finalndia è meglio essere astemi.





martedì 24 luglio 2012

11/22/63

Ciò a cui sto dedicando un certo numero di viaggi in treno e di sere d'estate. Cercando di illimunarmi con luci abbastanza fioche da non attiarare zanzare dentro la mia finestra. Pagine 768. Sono a pagine 713. Mi resta giusto questa sera di luglio per il finale.



S.K. mi ha progressivamente resa in grado di godermi il viaggio, rinunciando a qualsiasi attesa o tensione verso il finale. Finale troppe volte inadeguato rispetto a quello che è quasi sempre un gran bel viaggio.
Io continuo a godermi il mio viaggio insomma, sebbene sia ormai alla fine. Con una certa malinconia per quella vita che Jake Epping continuerà a vivere oltre l'ultima pagina e che mi restarà sconosciuta.

La domanda è: qual è quel momento della storia che ha ucciso l'innocenza? Quale quell'evento che ha spezzato la storia e ci ha resi quelli che siamo? Quale momento andrebbe cambiato nella promessa di un presente (e di un passato) migliore? E sarebbe davvero possibile far prevalere il bene comune sul proprio personale?

Assassinare Hitler ci metterebbe al riparo dalle follie della II guerra mondiale? O semplicemente troverebbero un'altra via? Una telefonata anonima a Falcone la sera prima di Capaci? Impedire il decollo dell'American Airlines 11? Basterebbe agire su insingolo istante o la corruzione troverebbe comunque il modo? 

Di certo è un bene che il passato non si possa cambiare. Perchè ormai siamo quello che siamo, siamo figli di quel passato. L'innocenza è perduta. Quell'innocenza è perduta. Cambieremmo il passato, e il futuro, ma da corrotti ed il cambiamento non darebbe frutti migliori di quelli che già abbiamo colto.
Solo il futuro può essere cmabiato perchè è un foglio bianco candido, vergine. 

Jake Epping salverà forse John Kennedym ma servirà ad scongiurare il Vietnam, la morte di Martin Luther King, l'11 settembre...



martedì 3 luglio 2012

disorientamento

Vorrei dormire. Addormentarmi mentre ti aspetto. Con l'aria delle finestre addosso anche se fa male. Con l'odore dello shampoo nelle narici. Con la luce della sera attorno, che sbiadisce.

Ti se accorto che le giornate si fanno più brevi? Impercettibilmente, ma più brevi.
Eppure l'alba arriva sempre troppo presto. Strappa i sogni agli occhi, è per questo che non li puoi ricordare.
Se non per frammenti che si dossolvono nel profumo nel caffè e nell'aria del mattino. Ed è già domani.

E non c'è tregua nell'incalzare dei giorni, delle sere. Sere già proiettate al giorno successivo, sere di calma solo apparente. Mai mie abbastanza. Ed è già mattina.

E dove finiscono i giorni io davvero non te lo so dire. Nè cosa significano. Nè dove mi portano. Dove dovrai venirmi a prendere se non mi sentirai tornare, dove c'è il rischio che possa finire.
Tu chiama più forte. Fatti sentire.




lunedì 25 giugno 2012

giugno

giugno è amaro. ed io stanca.

la luce sembra non finire mai, oggi.
non è mai sera. mai si chiudono gli occhi.
le notti sono brevi come sospiri.
i sogni sono frammenti scomposti.

milano è dolorosa, trafitta da mille lame di luce.
si sciolgono i marciapiedi sotto i motorini parcheggiati.
si muovono appena le foglie nel vento del pomeriggio.
milano è abbagliante. bella e ostile.

sono sola mentre cammino su tacchi sempre troppo alti per i miei gusti.
sono sola mentre bevo un caffè ed un'acqua frizzante.
sono sola sotto la luce piena. dentro il pomeriggio.
sotto questo cielo azzurro perfetto.
dentro la stagione che cambia e ti spoglia dei ripari e dei trucchi.
silenzio, asfalto e luce.

giugno è amaro. milano è abbagliante. ed io stanca.




mercoledì 20 giugno 2012

a un'amica (che sa cantare)

Sono un universo silenzioso.
Costellazioni mute. Pianeti che si muovono senza un suono lungo ellissi immaginarie.
Ciò che non ha suono non esiste.
Sono un universo che fa rumore. Solitario. Inviolato.
Non esisto.
Delle volte suoni alla porta. Ed io metto la musica e ti lascio entrare.
Delle volte metto la musica e le parole.
Per cantare. Per esistere.
Delle volte ti lascio entrare,
per ascoltare la musica ed aiutarmi a cantare.
Delle volte ti lascio entrare. Per esistere. Per insegnarmi a cantare.

La notte sotto le stelle conto sui polsi i segni dei legami strappati. Dal primo dei giorni. A sempre. Per sempre. Canto le canzoni senza parole, con le labbra chiuse. Ma sanno tutti che non ho orecchio.

Dove andrai punta il telescopio dove sai che devi guardare. 
Alzerò la musica per fartela sentire da lì.
Ti spedirò le parole dentro una busta bianca con sopra il tuo nome. 
Perchè tu le possa cantare.
Perchè tu mi possa ancora insegnare. A cantarle.


lunedì 18 giugno 2012

bolla di giugno

dicono sia una bolla di caldo sahariano. a me, francamente, sembra solo giugno.

sembra che il vento accarezzi ogni foglia di ogni fiore di questo balcone per poi andarsene senza sfiorarmi. e questo nonostante il mio continuo migrare da un angolo all'altro alla ricerca del punto perfetto dove potermi, finalmente, abbandonare. abbandonarmi.

inutile perdere tempo e mettere in fila parole in modo che abbiano un senso, che dicano qualcosa.  giugno mi fa a pezzi. e oggi sono così. a pezzi.

fatta a pezzi dall'aria notturna contro il mio collo scoperto. fatta a pezzi da una corsa di pochi chilometri che è costata la fatica di una maratona. fatta a pezzi dalla sera cha si sta svelando come togliesse un lenzuolo e mi lasciasse sola e nuda. nel silenzio. malinconica come non sapessi fare altro e non avessi mai fatto altro ogni giorno della mia vita. fatta a pezzi dalla malinconia, che non ha consolazione nè ragione. 

il colore del cielo. la lunghezza dei giorni. la lunghezza delle notti. l'estate che mi si svela di fronte e non so se ho le forze per arrivare alla fine. mi sento così: senza forza.

certe notti preferisco l'inverno.



giovedì 7 giugno 2012

302

Il treno mi informa di procedere a 302 km/h.
Il bicchierino di carta mezzo vuoto di tè si raffredda. Limone. Niente zucchero, grazie.
Procedo all'inverso.
Poichè è un viaggio all'inverso il ritorno. Poichè trenitaliapuntocom mi rema contro, è un dato di fatto.

L'alta velocità mi da la nausea. Soprattutto seduta in reverse.
302 km di nausea ogni ora.

L'Emilia si assesta sotto il solo di giugno. A Milano è brutto, dicono. Meglio che lo sia, altrimenti lo sbalzo termico dal treno alla banchina mi sarà fatale.

Il tè è sempre meno tiepido e sempre più amaro. La pianura sempre più eterna. Infinita. Verde e gialla.

Tutta questa pianura che non da tregua è un mantra, a continuare a guardarla finisci per scordarti dove sei. Dove stai andando.
Dov'eri un'ora fa.
Tutta questa velocità e questa pianura fanno male.
302 km di nausea all'ora per 302 km.

Vorrei che qualcuno mi prendesse per mano. Vorrei che qualcuno mi sussurrasse all'orecchio le risposte.
302 km di ansia pura.


lunedì 4 giugno 2012

dreams

Dove finisco i sogni la mattina quando apri gli occhi?
Dissolti nell'alba, annegati nella tazza del caffè o giù nello scarico del bagno.

Dove finiscono i sogni quando diventi grande?
Dissolti nei doveri, annegati nell'incalzare di giorni, traditi.

Io non saprei dirlo. 

Raramente faccio bei sogni la notte. Più spesso incubi di pura angoscia di cui non resta traccia nell'improvviso risveglio. Oppure, se sembrano belli e ne conservo il ricordo, hanno sempre un che di inquietante che, bè sarebbe stato meglio non sognarli affatto.

Eppure so sognare. Con gli occhi aperti a guardare chissà dove. Ho sognato. Ho guardato i miei sogni morire. Assassinati. Ma poi ho sognato di nuovo.
Nell'unico modo in cui sognare. 
Timidamente. 
Nel modo incerto e leggero in cui si sognano sogni d'aria e vento. 
Senza peso.




lunedì 28 maggio 2012

stanotte

Non so se riuscirò a dormire.
La sera fuori è appena tiepida ed ha l'odore dei fuochi d'artificio ormai spenti.
Sento un vuoto allo stomaco. Un buco nero che mi inghiotte facendo ruotare attorno al suo centro la moltitudine delle mie stelle.
Siamo esseri talmente sfuggenti. Il bagliore di stelle già spente.
Ti ascolto respirare nel buio e sento battere tra di noi la fragilità delle nostre vite, ognuna per suo conto, e della nostra vita insieme. 
In silenzio ho paura ma mi sembra di aver imparato, col tempo, a mascherare il panico con consumata disinvoltura.
Ogni parola non detta è un'occasione perduta. Ma ci sono parole che non saprò mai dire.
Posso solo sperare che tu le sappia intuire. Le sappia comprendere senza che io le debba dire.
La notte è una strada sulla quale si è molto soli. Vorrei solo respirarti vicino.







domenica 27 maggio 2012

e se mi sorridi

L'estate potrebbe finire qui. Cristallizzarsi dentro questa sera.
Rannicchiata sulla vecchia poltroncina di vimini ad ascoltare la notte arrivare.
Appena un pò d'aria di troppo a farmi mettere un'altra maglietta. Appena una birra di troppo a far tacere i pensieri. Appena un pò di vento a far muovere le foglie e a disegnare le nuvole. Appena una vena di stanchezza malinconica.
Questa notte non ci saranno stelle.
Sono solo somma di particelle elementari stasera. Niente di compiuto. Un essere semplice. Vecchia e bambina. Semplice ma impossibile da spiegare, perchè in effetti ciò che è semplice non va spiegato per definizione.

Non so se riuscirò a dormire. Stanotte.





Passa e non passa. 
Passa. E non c'è niente che posso fare. Aggrapparmi con dita, con le unghie. Non basta. Chiudere gli occhi e le orecchie, trattenere il fiato. Passa. E non si può fermare. 
E non passa. Il giorno e la notte, mi divora nella veglia e nei sogni. Non basta. Chiudere gli occhi e le orecchie, trattenere il fiato. Non passa. E non c'è nulla che lo farà passare.

Forse se mi sorridi passerà e non passerà senza far troppo male. Forse se mi sorridi non ci starò a pensare. Forse se mi sorridi allora riuscirò a dormire.

venerdì 25 maggio 2012

chiuso

Temporaleggia.
Diluvia.
La lavatrice è al riasciacquo. Allungo le gambe verso l'oblò.
Siano maledetti i tacchi alti. Soprattutto il venerdì sera.
La settimana finisce mentre inizia la centrifuga. 
Muscoli e nervi si distendono avvolti dal profumo di ammorbidente.
Caviglie. Ginocchia. Punte dei piedi. 
Palpebre. Ciglia. Punta del naso.
Stasera non ci sono per nessuno.

lunedì 21 maggio 2012

na na na per farmi coraggio

Piove. Piove sempre in questo maggio milanese.
Piove sui marciapiedi e sui binari del tram. Piove sulle mie occhiaie e sulla minuscola cosa di cavallo che ho fatto stamattina. Piove sulla Milano occupata e sulla milano arancione.

Ed io, per la cronaca, credo ancora nella Milano arancione. Credo nelle istituzioni e nelle persone che abbiamo voluto ad impiegare queste istituzioni per praticare un cambiamento. Ancora credo che sapranno praticarlo, il cambiamento.

Ma, confesso, non è a questo cambiamento che penso mentre rientro a casa. Ma ad un cambiamento più personale, banale, egoista: il mio [sempre sia mai avvenuto. sempre io l'abbia mai praticato].
Il cambiamento che produce il tempo sui nostri visi e tra i nostri capelli.
Il cambiamento che produce la vita dentro la nostra persona, tra i nostri legami, dentro i nostri pensieri.

Venti anni fa sarei potuta diventare molte porsone diverse. Dieci anni fa avevo in effetti già preso un consistente numero di decisioni, già imboccato un buon numero di deviazioni e già tagliato un certo numero di legami [Non senza dolore]. 
Ed oggi? Oggi quante delle persone che avrei potuto essere sono perdute? Quante me ne restano?

Nasciamo e siamo vita in potenza. Milioni di persone in potenza. Nasciamo e possiamo essere chiunque. 
Giorno dopo giorno uccidiamo le persone che avremmo potuto essere. Una per una. Uccidiamo noi stessi per portare a compimento la nostra vita. Per compiere una sola di quel milione di esistenze che avevamo in tasca quel giorno in cui siamo nati.
Siamo nati come infinite vite e possiamo viverne solo una. Ed è questo che nelle notti di vento non ci fa dormire.

venerdì 18 maggio 2012

ci baciavamo davanti alla stazione

Ci baciavamo davanti alla stazione Garibaldi.
Nelle lunghe attese di treni in ritardo. Di treni persi.
I libri di analisi appoggiati a terra, tra i piedi. Le mani in tasca.
Milano era grigia e indifferente sullo sfondo. Pennellate di colori caldi come per caso, come per sbaglio.

Ho chiuso gli occhi un attimo, solo il tempo di baciarti le labbra.
Li ho riaperti. E non eravamo più lì. Ma altrove.

E' bastato un attimo. Le gru hanno sollevato piani come fossero fatti di cartone. E il futuro ha preso l'aspetto di km di vetro e acciaio. Un attimo. E non eravamo più lì, a baciarci davanti alla stazione.
Il futuro non ha colore, il futuro ha solo il colore riflesso. Rubato.

Ah, il futuro!
E non è infantile stupore. E non è piacere estetico per le linee lunghe e flessuose. Sebbene non ne sia indifferente. Sebbene mi lasci fascinare.
Ma è troppo. E' disagio di fronte al troppo.
Troppi palazzi. Troppo affollati. Troppo uguali. Troppi piani. Troppo vetro. Troppo riflesso. Troppo spazio sottratto alla vista. Troppo cielo resegato. Troppo pieno.
Disagio perchè non risco ad immaginare questo orizzonte in divenire prendere vita. I lavori corrono. I piani salgono. Ma continua a sembrarmi tutto deserto.
Inutile. Senza vita.

Milano, dovevi cambiare. Ma non così.






mercoledì 16 maggio 2012

una giornata di vento

Il sole e il vento. L'azzurro e il vento. Il vento ed io che ci cammino in mezzo.
I raggi UV e l'ozono ci ucciderano. Ma non sarà poi così male.

Se l'è portato via il vento il mio tempo. I minuti. Le ore. 
Bruciati. Le linee di fumo svanite nell'azzurro, altissimo.
Dove mi trovo? Verso quale dove sto camminando? Se sto cammiando. Oppure è il suolo che si muove sotto ai miei piedi. 
E il vento si porterà via pian piano i colori e la sera. E non lascerà che buio e stelle. E allora, forse, potrò dormire. E allora, forse, potrò respirare. 

Perchè sono le distanze degli astri che danno la giusta misura. Gli anni luce, non i centrimetri delle nostre gabbie anguste, sovraffollate ed indifferenti. Indifferenti. Le gabbie della banalità oscena e prepotente delle quisquiglie che rubano tempo e spazio. E stringono le pareti. Stringono.
Alzare lo sguardo verso il cielo più alto ed oltre.
Per dare ad ogni cosa la giusta dimensione.
Per non affogare nel fango ciò che è fatto di stelle e infinito.
Perchè quella è la materia che ci tiene insieme.
Ed è di quella materia che nascondo un pugno nelle tasche. Perchè nessuno mi possa rubare l'idea, la dimensione, il tempo. O il respiro. Con qualche scusa, con un pretesto banale. Prepotente. Osceno. Perchè nessuno possa farmi credere che dentro una scatola sia il mio posto, quanto il mio tetto è il cielo.

è a questo che mi fa pensare il vento. (oltre che al mal di testa)

lunedì 14 maggio 2012

dove finisce la sera

Dove finisce la sera. Dove le ore del giorno scivolano dentro lo scarico della doccia. Acqua e sapone. 
Lavare via il trucco. Legare i capelli con un elastico. Indossare canottiera e calzonici ed aspettarti leggendo un libro. Ascoltando una canzone che mi piace. Guardando un assurdo documentario su rai5.
Dove finisce la sera. Dentro le lenzuola che sanno di ammorbidente. Incontrare i tuoi piedi. Dimenticare tutto. Dimenticare il resto. Fosse solo per cose ore.
Le troppe persone che sono. Senza mai sentirmi a casa. Senza mai sentirmi una sola cosa. 
I vestiti appoggiati alla sedia. Abbinati i colori. Abbinati al domani che sarà domani. La prima sveglia. La seconda sveglia. Puntate e pronte a far fuoco. 
Dove finisce la sera, tra le lenzuola, nel buio e nel silenzio. Dove finisce io voglio finire, stasera.

giovedì 10 maggio 2012

Dislikeme

Piccole violenze quotidiane. Piccole, colorate, sorridenti. Politicamente corrette.

Poi dicono che per la gastrite non dovrei bere caffè. Ma la verità è che posso berne di litri di tè -miodio- deteinato, ma è d'altro che stiamo parlando.

Bisognerebbe.

Cosa? Non lasciarsi tiranneggiare. Non fasi condizionare.
Bisognerebbe, in altri termini, fottersene.

E non sarebbe come essere egoisti. Sarebbe come essere liberi.
Dalle forzature. Dalle costrizioni. Dai mille invisibili fili che legano le mani e la lingua e tagliano la pelle.
[e che ti sei fatta? cosa sono questi segni? mah, avrò mangiato qualcosa che mi ha fatto male].

Libera.
Dalle parole espresse senza alcun rispetto. Dalle bocche che sono solo bocche e non hanno orecchie per ascoltare. Dai giudizi. Dalle menzogne. Dai rospi. Dalle apparenze.
Ah, le apparenze...

Dall'idea che volgiamoci bene. Dall'accomodanza. Dall'aggressione passiva. Dal grigio dell'adeguamento al contorno (grigio). Dalle chiacchere inutili.
Ah, le chiacchere...

Piccole violenze quotidiane. 
L'arroganza. La presunzione. La miopia.

Bisognerebbe. 
Dimenticare quella sensazione perversa per la quale si ritiene di non meritare. L'amore, il rispetto, l'affetto. Cose che si danno e quanto capita di riceverle se ne ha cura e non si sprecano.

La libertà di essere quello che si è, esprimere i proprio pensieri, dire di no, dire la verità. Non è presunzione. Ma una rivendicazione legittima. Una liberazione.
Non piacere è un diritto. Che va esercitato.


giovedì 3 maggio 2012

swing low Alabama

Vorrei vivere in Alabama. Stasera.





Eppure sempre mi coglie quella sensazione di imbarazzo.
Di fronte a ciò che realmente significare pubblicare, rendere pubblico.
Alla consepevolezza di quanta presunzione di vuole, di quanto narcisismo.
Puro imbarazzo.


Chiedo perdono.
Lo faccio per necessità. Scrivere cose inutili intendo. Per bisogno e per piacere.
Pubblicarle poi è il brivido sottile di tragredire alla mia natura blindata.

mercoledì 2 maggio 2012

crudele

Oggi ha fatto caldo. Poche ore e mi sento già come se mi avessero spaccato le ossa a martellate e sfibrato i muscoli con una forchetta.

La stanchezza è una controversa compagna.

Rende insofferenti.
Rende egoisti.
Rende malinconici.
Rende facili al pianto.

Ma apre anche i sensi in un certo suo strano modo.
[Come il vento apre il cielo. Come una droga che scioglie la volontà in acqua.].
Come se avessimo occhi più grandi, orecchie più acute, pelle a chilometri.
Chilometri di pelle e tutto il corpo teso e porteso alle sensazioni. Amplificato. Come se, il corpo, fosse in grado di predisporsi e cogliere la più ampia gamma delle safumature possibili, con il più piccolo impegno di risorse. Ed è così poichè, ed è senza dubbio vero, il corpo sa tutto.

Ed è in questo stato dei sensi che mi trovo stasera.

Aperta.

Ed è uno stato pericoloso.
Poter vedere attraverso la pelle delle cose, poter risconoscere dettagli mai visti prima, poter scorgere oltre a ciò che è a fuoco. Mettere a fuoco lo sfondo. Ed oltre.

Vedere. Chiaramente.

E vedere chiaramente può far male. No, non è esatto. Fa male. 
Fa male agli occhi, ai muscoli del cuore, alle pareti dello stomaco, ai reni.

[il segreto è crollare addormentati prima dell'irreparabile. darla vinta alla stanchezza e all'oblio dei sogni]

E' un pericoloso stato dei sensi, dicevo.
Ed è pericoloso perchè d'un tratto, a partire da un insospettabile dettaglio, la vita si svela: crudele.
Crudele nel dolore. Crudele nella bellezza. Crudele da spaccare il cuore con una martellata.

E capisco come si possa in fondo desiderare di velare il bagliore di questi scorci. Abbandonarsi con fiducia alle banalità quotidinale, consolarsi con il vuoto delle ovvietà e delle conferme, con i bagliori delle apparenze ed riflessi sulla superficie. Gratificarsi. Consolarsi. Tranquillarzi. Divertirsi. Fingersi leggeri. Capisco perchè si finisce con il cercare la via più morbida per abbandonarsi.

Lo capisco.

Eppure, pervesamente, mi piace ancora guardare lo sfondo, cercare quel dettaglio. Risconoscere la sfumature feroce che sveglierà i sensi e la coscienza. Anche se fa male.
Mi piace ancora farmi colpire in viso dalla crudeltà. Crudele. 
Dettagli che espodono come bombe di luce abbagliante che ferisce gli occhi. Perdere il respiro. Soccombere la panico. Al dolore più sordo ed alla pura gioia. Ugualmente crudeli.

La vita è crudele. Ed è crudele esser vivi. Ma è meglio che esser morti.



GGS5RSYWKCVY

lunedì 30 aprile 2012

cosa si può fare per 10 ore al giorno?

Oggi sono in ferie. Ferie del 2011. Arretrate e in scadenza. 
Ascolto musica seduta sul tappeto mentre fuori piove. Piedi nudi e smalto... fuxia [tanto fa freddo e non lo vede nessuno]. Un bicchiere d'acqua frizzante con dentro una fetta di arancia. Rossa. 

Ferie arretrate. Perchè c'è da fare - molto da fare. E poi il contratto in scadenza - molto in scadenza. La finanziaria ha bloccato le assunzioni - di nuovo. La piccola percentuale sacrificabile - sei uno su migliaia. E poi il resto: eccetera eccetera. Che palle. 

Che. Palle.

Oggi sono in ferie arretrate e domani è il primo maggio.

Piove. E io mi godo il mio tempo. Libero. Libero e bello, di pioggia e vento. 
Io non ho mai saputo cosa sia la noia. Ci sono talmente tanti mondi oltre a questo. Da imparare. Da scorgere. Il problema se mai è trovare del tempo da liberare. 
Il problema se mai è tenere sempre in tasca un grimaldello per liberarlo il tempo. Per liberarne abbastanza: dalle questioni serie, dalle cose importanti, dalla cose che servono. Scassinare le serrature e portarselo altrove, quel tempo. Prenderselo. Pretenderlo.



domenica 29 aprile 2012

privilegi

Ad un certo punto ti devi rendere conto che il tuo punto di vista è un punto di vista privilegiato, quello di chi è stato educato al rispetto, che l'ha ricevuto, che sa di meritarlo. 

Soprattutto è questo. 
Il sapere di meritare rispetto, libertà, indipendenza (di idee, di scelte, di vita, di futuro) tanto quanto un uomo. Il saperlo perchè è così, punto. Non esiste esitazione o dubbio: è ovvio.
Ovvio.

Per cui all'inzio è anche un pò alle donne che dai la colpa. 
Perchè sono loro che dovrebbero essere indipendenti e prendersi la libertà ed il rispetto. Possono essere ciò che vogliono.
Basta volerlo.

Ma ci sono donne che non lo sanno. A cui nessuno l'hai mai detto quello che valgono e quello che meritano, che non hanno mai visto portare rispetto ed a cui nessuno l'ha mai portato, che non lo sanno. 

Non dovrebbe nascere più neppure un bambino o una bambina che possa mai essere neppure sfiorato dal dubbio. Dovremmo vivere la vita declinando in ogni possibile modo questa semplice verità. Dovremmo, perchè nessuno possa mai pretendere il contrario.


Petizione MAI PIU' COMPLICI

sabato 28 aprile 2012

O in pieno sole

“La maggioranza degli uomini oscilla perpetuamente nel dubbio se è o non è felice, se è o non è allegra. Questa è la condizione normale della felicità, giacchè il dubbio è cosa naturalissima”

Quali doveri mi terranno in ostaggio oggi?
Oppure riuscirò infine a perdermi altrove? 
In ombra. O in pieno sole.








GGS5RSYWKCVY

venerdì 27 aprile 2012

Apritegli

Spente le luci il tempo perde decisamente di significato. Si alternano sul palcoscenico persone diverse. Sconosciuti che in fondo conosci. Bene. Uno dopo l’altro sembrano aprirti lucchetti che hai testa, chiavistelli, serrature, serrande, porte blindate. Senti scorrere l’aria fresca dentro le tue stanze, sbattere le porte, volare cappelli e fogli di giornale. Alla fine Giulio Casale (lui, quello che da a tutti il giusto appuntamento) ti restituisce al mondo con tutti i canali aperti e con tra i pensieri un sorprendente numero di domande. A cui rispondere.

Apritegli.

giovedì 26 aprile 2012

diventando maggio


Oggi ho vestito i colori della primavera. Anche se io la primavera la odio.

Ovviamente.

Sembro quasi carina in questi abiti leggeri. Sarà che le giacche nere, le gonne nere, la camicie bianche e azzurre infilate dentro e tutto quanto il necessario non mi hanno mai fatta sentire reale.

Solo un travestimento. Un’impostura.

E se è cosa nota che si debbano indossare i vestiti adatti alle proprie guerre stellari, io li indosso, da brava, con disinvolta precisione, da attrice consumata. Quando serve. Ma oggi sono in borghese, oggi è tempo di pace.

Pace stellare.

Pace di ritorno dopo il massacro dell’irrequietezza che mi ha afflitto nelle ultime cento ore. O erano duecento? Pace da sfinimento. Ma pur sempre pace.  Pace stellare: apparente silenzio sul suono del cosmo in sottofondo. Il rumore dei pianeti che si spostano lungo le orbite di Keplero, delle supernove che esplodono e si espandono, delle unghie dei mondi che si aggrappano al firmamento per non finire ingoiati dai buchi neri. Ed è la pace stellare. Bang.
Big. Bang.

Due cose.

La prima. La primavera è arrivata e questo è un fatto. È arrivata in un pomeriggio di aprile e mi ha colpita in pieno viso. Mento: mi ha colpita allo stomaco, e non una sola volta. Che poi tanto io la primavera la odiavo già per cui dovevo aspettarmelo, soprattutto dopo che me la sono andata a cercare. Bang. Colpita e. Affondata.

Mi sono vista allo specchio ed ero un fiore pericolosamente chiuso. Uno di quei fiori che si aprono solo quando la luce è perfetta, giusto un attimo, a dare una sbirciata al cielo e a pretendere la dovuta attenzione per la propria presunta grazia.

La seconda. Ho urgenza di nuove cose. Nuove canzoni da ascoltare. Tante, tutte insieme, tutte adesso, addosso. Che mi colpiscano e mi consumino e mi tormentino. Che violino i miei confini e li facciano a pezzi.

Voglio vedere dentro lo specchio un fiore sempre sbocciato, sempre aperto e proteso a cogliere i mutamenti della luce e del vento, l’arsura e la pioggia, il tramonto e l’aurora. Voglio essere un fiore incurante e sgualcito.

mercoledì 25 aprile 2012

mi piace

E' tanto facile cliccare "mi piace". Non vale neppure lo sforzo di misurarsi con una scala di giudizio. Click. Tanto, poco, un pò, in parte, ma, forse... che importa: click. E il non-click? Non so se valga almeno un "non mi piace" o se sia solo vuoto. Bisognerebbe chiedere ad un giovane esperto di comunicazione. [Seppure io abbia qualche dubbio che di comunicazione si tratti. E non di databasing o di calcolo matriciale. O di semplice vuoto dell'immaginazione, di nulla da dire].
Il mio pensiero non è così stantio da non saper cogliere la forza dell'idea di restare sempre in contatto. Ha un suo appeal. Ma è il concreto che mi mette tristezza: accendere il computer e trovarmi vomitate addosso centinaia di informazioni, banalità di mezza riga o, peggio, condivisione di banalità altrui. Il modo in cui mi fanno sentire è sola. Impoverita. La sensazione è quasi violenta. E' comunicazione a senso unico. E' comunicazione senza senso. E' comunicazione che non comunica. E' vuoto. Perchè tra tanto rumore i suoni si perdono. Il frastuono mi nausea e se c'è qualcosa che valga la pena comprendere si perde, semplicemente, nel tutto.
Sarò una snob. Ma non sono capace  di surfare sulla superfice e godemi le infinte possibilità, arranco, annaspo, annego. Passo e chiudo. Sono la peggiore. Asociale virtuale. Dispenso mi piace con snervante moderazione.




martedì 24 aprile 2012

la dissolvenza al nero

Vorrei che le parole fossero poesia. E sono pioggia acida. E sono blu veleno. E non si lasciano scrivere ma bruciano solo le mani. Fanculo la sera, la pioggia ed il giorno che muore. Scaverò la fossa per i miei coltelli spunati. Che fanno ridere. O solo amarezza. Per tutto l'amore sprecato. Per le promesse non mantenute. Che sono sempre quelle al pupazzetto ridicolo che sono. Gommapiuma, senza spina dorsale. Mille volte vaffanculo. Mille volte e poi ancora mille. E poi di nuovo.

lunedì 16 aprile 2012

aprile

Questa sera è bellissima. Ha la luce della primavera e l'aria fredda dell'ultimo inverno. Sento la stagione cambiare e all'improvviso non ho più armi e non so più nulla e non sono che occhi e ciglia.

Oggi, senza che ci fosse alcun segnale, alzando gli occhi dal libro e guardando il cielo attraverso il finestrino, ho avuto voglia di scriverne ed ho provato rimpianto per tutte le pagine che non ho scritto e per la vita che non è mai come la pensavo. Ed è breve.

Ed ho scritto. Ma ciò che scrivo è mai come vorrei fosse. E' solo un blaterare banale. Ed i romanzi che non ho scritto non li scriverò mai. E le mie pagine sono piene solo di scarabocchi.

Oggi ho sentito quel desiderio si sbiadire. Oggi è stata una giornata senza musica, senza equilibrio. Oggi c'erano tutti i segnali. E stasera  seguo la marea ed annego. Solo un poco. 

domenica 8 aprile 2012

la strada

Può essere che la vita cambi in un attimo, oppure che il cambiamento sia così graduale ed impercettibile che non sia possibile metterlo a fuoco finchè non è compiuto. Ma che sia un attimo o una lunga sequenzadi attimi il finale è il medesimo, si aprono gli occhi una certa mattina e ci si rende conto che la vita è andata avanti. E noi con lei.

Per la cronaca questa è una domenca di vento. Piuttosto freddo. Il cielo è di quel blu che fa pensare si possa vedere abbastanza in alto da avere le vertigini. Io ho 32 anni. Sto meditando di uscire in bici. Ma forse mi limiterò ad infilarmi le scarpe e camminare qui intorno. Senza avere in mente nulla di precisio, solo camminare e prendere il vento sulla faccia e imprimere addosso come è la vita adesso prima mi sfugga e cambi di nuovo.