martedì 4 novembre 2008

scrosci

Mi dissolvo dentro la pioggia scrosciante. Sciolgo il mio viso nel riflesso delle pozzanghere accanto alle rotaie del tram. Frammento il mio profilo nelle gocce che scivolano soi vetri. Scivolo via. Dentro l'acqua che scorre nei canali, dentro i rivoli ai bordi della strada che si inabissano dentro le bocche di lupo per poi riemergere chissà dove. Milano ha la falda alta, una Venezia sotterranea di canali d'asfalto e gallerie della metropolitana. Il vento trasforma le gocce che mi piovono addosso in brividi. Mi dissolvo in sensazioni e suoni, densa e intesa nelle pioggia di novembre.
Sensazioni liquide. Fluide. Che scivola negli spazi più minuscoli, inarrestabili, incomprimibili.


Questa pioggia scrosciante ha qualcosa di assoluto dentro di se. Intenso ed emozionale. Ma sento come se mi portasse via qualcosa. Scivolandomi addosso. Scivolando via. Qualcosa di me. Sono stanca stasera. Tolgo i vestiti bagnati e le scarpe. Asciugamani e sapone. Sciolgo un analgesico gigante in due dita d'acqua. E mi lascio asciugare un pò.

lunedì 3 novembre 2008

pensieri pendolari

Treno in ritardo. Il vagone gonfio di ombrelli gocciolanti e giacche bagnate. Riscaldamento troppo alto. Vetri appannati. Le voci che si sovrappongono e alzano i toni. Brutte scarpe. Profumi da donna troppo dolci. Una delle poche occasioni in cui vorrei essere alta o, quantomeno, più alta.
Treno in ritardo dicevo, ma anche sbagliato. Devo scendere e cambiare. Scendo. Trascinata e travolta da un fiume di persone. Piove sulla banchina. Sembra sempre che tutti abbiano fretta nelle stazioni. Sembra sempre che tutti abbiano il diritto di calpestarti senza chiedere scusa. Rallento. Lascio che il flusso mi passi oltre. Lascio che il flusso mi lasci indietro. Lascio che la banchina ritorni deserta.
La coincidenza è in ritardo. Non mi resta che sedermi sotto la tettoia. La panchina di marmo è fredda e umida sotto le chiappe. Piove più forte. La gente passa intorno e lascia impronte sporche e bagnate. Un bambino con gli occhiali e un impermeabile dell'uomo ragno sta sedeto sul muretto. I treni scivolano a raffica sui binari, in entrambi i sensi. Io di colpo vorrei farmare il tempo. Fermarlo lì, nell'inutile tempo di attesa di una mattina di pioggia.
Una foto di qualche anno fa mi ha rimesso di fronte il mio viso liscio di ragazza. Più morbido. Mi pare quasi non mi somigli abbastanza. Mi piove addosso una sensazione a cui non so dare nome, lì seduta su quella panchina. Mentre penso a quel viso come se non fossi io. Ai treni che sono passati. A quelli che ho perso. A quelli in ritardo. A quelli troppo pieni e a quelli presi senza biglietto. A quelli che ho preso a dai quali magari sarei voluta scendere, ma che non hanno fatto più fermate. A tutte le mattine in cui scendendo in stazione centrale sarei voluta salire su un treno che andava chissà dove invece che andare dove stavo andando. Ed invece non l'ho fatto mai. Avrei voluto fermare il tempo lì, questa mattina, dentro l'inutile attesa di un treno in ritardo. Per avere il lusso di guardare le cose. Di guardaci dentro.
Il treno è arrivato sul binario due. Mi sono arrampicata sui gradini fuori norma del treno diesel per milano lambrate. Troppo pieno. Troppo caldo. Coi vetri appannati. Brutte scarpe. Profumi troppo dolci. Ma delle volte non vedo niente, non mi accorgo di niente, sono lì e potrei ovunque. Completamente perduta dentro i miei pensieri pendolari.