Autunno. E tornare a scrivere. A scriverne. Banalmente sopraffatta dai colori che cambiano. Incerta se desiderare o rimpiangere. Io provo ancora a desiderare.
Ho addosso un'immagine. Mia nonna con un cappotto grigio con il collo di pelliccia. Le mani fredde e bellissime di mia madre che mi sistemano i capelli. Una cornice di alberi rossi e gialli. Un pomeriggio di novembre. Castagne. Cielo. Aria fredda.
Un'immagine. Un perfetto fotogramma d'autunno. Ed è, come l'autunno, al contempo consolazione e dolore.
L'autunno è il tempo che si consuma, le foglie che spogliano gli alberi e li lasciano nudi nella neve e il gelo. Foglie che cadono a terra e diventano fango e poi la pioggia che le lava via e non resta nulla.
Solo le impronte dei miei passi. Forse la speranza che si possa tornare a fiorire di nuovo. La speranza appunto, che come tale non ha addosso nessuna certezza se non quella che posso incollarci con queste stupide mani.
E' solo l'autunno, mi dico. L'effetto dei tramonti preoci, dell'incendio dei colori, della piccola falce di luna, del sapore della nebbia. E' troppa emozione. Troppa da gestire in un corpo inadeguato che non la sa esprimere. Può solo accumularla e scioglierla d'un tratto in questa sensazione di puro terrore.