venerdì 11 gennaio 2008

chissà com'è...

a volte (sempre) è meglio non aspettarsi niente. a volte (spesso) bisogna essere la cura di se stessi. fare da soli. faccio da sola. oggi (sempre). e va bene così. ogni volta che mi sentirò in quel modo io mi scriverò. perchè l'unica cosa che so fare. l'unica cura che conosco. basto io. mi basto.

capita di non farcela
e di essere il coltello
ed insieme la ferita
chissà
chissà com'è...

Una soluzione. Un aiuto. Qualcosa.

C'è un momento in cui la stanchezza ha il sopravvento. E ogni minuscola fibra del mio corpo si distende in una calma irreale. Le spalle si sciolgono e gli occhi si fanno umidi e rossi. Adesso, metre fuori piove, io mi sciolgo dalla mia tensione stringente e respiro.
Mi gioco una chance di affrontare e risolvere i miei problemi oggi e vorrei giocarla bene. Vorrei scrivere le mie prossime pagine alleggerita di questo peso che ora mi schiaccia e mi toglie il respiro. Ci provo.

Non pensare

Questa mattina sembra volermi ingoiare. Grigia di inverno. Di nebbia e di pioggia. Mi riempie gli occhi di uno smarrimento al quale non so sfuggire. Tremo un po’ dentro la mia pelle. Cerco un po’ di tranquillità nelle mie piccole cose: apro il barattolino di vicksvapurub e l’aria prende piano un familiare sapore di buono, faccio un tè alla mela&cannela per confortare un po’ il mio stomaco nervoso. Non basta. Ma aiuta. Non mi piace sentirmi così. Sentire questa tristezza stanca e densa pesarmi sulla spalle, farmi luccicare gli occhi. Non mi piace ma sfuggire alla sensazione di smarrimento e panico che mi tiene stretta è impossibile. Bisogna passarci in mezzo per lasciarsela alle spalle. E fa paura. Ma è l’unico modo. Vorrei tornare a letto. Nascondere la testa sotto le coperte. E dormire. E non pensare. E dimenticare tutto. I problemi. Il timore. L’incertezza. La paura. Dimenticare. Non pensarci. Ma sono qui. E sono sola stamattina.
Mi metto al lavoro, provo a metterci tutte le mie energie. So che quella è la cura, l’unica cura per fuggire e me stessa e sentirmi tranquilla. Ci provo. Ma non so se ci riesco.

giovedì 10 gennaio 2008

Lunchtime

Oggi tutto è grigio. Il cielo è grigio e vicino. L’aria è grigia, fredda e insinuante. Io. Un po’ grigia tra i pensieri tengo insieme stancamente le pagine scombinate di questa giornata.
Mentre mangio la mia pausa pranzo mi distraggo dai discorsi e penso a ieri sera. Noi due davanti a una birra cinese, un te verde e un pollo alle mandorle a metà. A parlare di una cosa o dell’altra. Bisticci di parole. Fraintendimenti. Sorrisi. Dolcezze appena accennate e subito nascoste dietro qualche battuta pungente. Uscire nel freddo e stringersi un po’. Labbra. Bocca. Il riscaldamento della macchina che soffia aria calda profumata alla lavanda [grazie a me]. Ed è già ora di tornare a casa, di lasciarci di nuovo. E penso a come è poco il nostro tempo. E come è perfetto nella particolarità del dettaglio. E la stanchezza che mi inasprisce la voce. E vorrei farmi stringere ancora. E non sto pensando al futuro. E nemmeno al passato. Sto pensando a com’è adesso. E mi piace. L’aria fresca che respiro quando siamo insieme. I problemi che si allontanano. La sensazione della tua presenza. La tua voce silenziosa ma comunque confortante. Meglio della cioccolata, la mia comfort zone. E so che è odioso scrivere di noi, una concessione a questa giornata grigiamente pesante, pesantemente grigia. Torno alla realtà di questa pausa pranzo breve e sottotono, che sgocciola verso la fine.


mercoledì 9 gennaio 2008

Comfort chocolate

Cioccolato. Di nuovo voglia di cioccolato. Sono strana. Nel cassetto quelle palline rosse col cuore morbido regalo di Natale del boss. Ma no. Io voglio di qualcosa che sappià più di cicciolato. Di cacao forse. Ho voglia di cacao. Ho voglia del cioccolato neronero. Ma non troppo. Il giusto. Che mi prende? Non mi è mai andato troppo il cioccolato. Bisogno di conforto? Dipendenza acquisita? Arg. Non devo pensarci. La dieta reclama la giusta attenzione. Ma quel gusto, quel sapore di calore e di peccato sulle labbra. Perchè no? No. No. E ancora no. Mi mortifico con una Fisherman Friend e vado a casa. Aimè. Senza nessun conforto.

stamattina

Camminavo a passi veloci e appena un po’ saltellanti in questa mattina glaciale. Gennaio lo chiamano. Le orecchie rosse e fredde. Subsonica nelle orecchie. E attorno Milano, traboccante di questa mattina bianca e fredda. Piedi leggeri sull’asfalto gelato del marciapiede, incerti sul pavè sconnesso vicino alle rotaie del tram, frementi in attesa davanti alle strisce pedonali. Adoro Milano la mattina. Mentre scivolo fluida tra le gente, nel traffico, con la musica nelle orecchie e i pensieri altrove, lungo la solita strada che si disegna da sola davanti ai miei occhi, senza bisogno di starci a pensare. A volte cambio strada, la allungo apposta, per respirare e riempirmi di luce e freddo prima di chiudermi qui dentro. Stamattina l’ho allungata un po’. I bar profumati di caffè e colazione. I tram sferraglianti sulla loro vecchia spina dorsale. I prestinai con le loro vetrine scombiante e profumate di pane. La croce della farmacia che lampeggia abbagliante. Le facciate delle case dai colori caldi e un po’ sbiaditi dal tempo e dai fumi. Le gente che cammina dentro cappotti di tutti i colori. Gli alberi spogli ad incorniciare un paesaggio scarno e ugualmente pieno di colore e di un fascino dolceamaro. Che mi piace. Mi piace molto. Certo meno di quello offerto dalle luci e dai colori della sera, ma comunque bello. Bello e pieno, da prenderne più che posso prima di iniziare una giornata nuova.

martedì 8 gennaio 2008

Triistee

Vinicio Capossela suona Bardamu nella mia stanza. Sera. Un pò stanca rannicchiata a gambe incrociate sulla sedia. Un infuso profumato. Una felpa morbida. Due trecce fermate da elastici rossi. Profumo di sapone. All'improvviso mi ricordo che chiunque passi di qui per caso può leggermi addosso queste parole. E farsi un'idea di me. Di una ragazza un pò così, triste. Triste in quel senso che si da alla parola trascinandone un pò le vocali. Beh, non lo nego. Chiudo la giornata nel guscio sottile dei dettagli, delle piccole sfumature. Sfuggo le luci e lo sfavillante fascinare della ribalta. Introversa forse troppo. Imbarazzata come fosse la cose più normale. Timidamente timorosa. Sognante. Forse dovrei farmi bella per uscire stasera. Invece mi chiudo a riccio nel bozzolo caldo e tranquillo della mia stanchezza. Ora che ho la maturità per non sentirmi più obbligata a fare altro che quello che mi sento di fare. Basta serate infinite e forzate con addosso vestiti e trucco di un'altra me stessa. Basta amicizie vuote di chiacchere faticose. Basta divertimento di plastica. Basta sforzarmi di essere simpatica, diverstente, estroversa, interessante. Basta sforzarmi e basta. Quella è una parte dei miei vent'anni che ho piacere di lasciarmi alle spalle. In favore della libertà assoluta di essere triistee. Come stasera.

cioccolata

Sono scesa alla macchinetta fermamente decisa a prendere una cioccolata. 35 cent tintinnanti nella mia tasca. E già la sensazione del calore e del sapore confortante tra le labbra. La macchinetta era rotta. Vagamente triste mi metto a scrivere un po’. Tolto il cioccolato in qualche modo devo pur confortarmi. E trovo estremamente confortante estraniarmi e scrivermi.
A dire il vero il cioccolato non mi fa impazzire. Da secoli non bevo una cioccolata calda come si deve. In parte per ragioni su cui vorrei sorvolare, in parte perché trovo che sia nauseante. Il massimo che trovo confortantemente delizioso è la cioccolata della macchinetta. Poca. Annacquata. Scialbetta. Bollente. Come piace a me. E così ogni tanto, abbastanza raramente a dire il vero, infilo i tasca le monete necessarie e scendo alla macchinetta, facendo il giro lungo per non dover passare dalla scala esterna. Di solito il corridoio è deserto. Mi viene sempre voglia di cioccolata verso sera, quando le lezioni sono finite e di studenti non ne restano in giro poi molti. Scende calda nel bicchierino di plastica che si riempie fino al bordo. E poi risalgo le scale lentamente tenendo il bicchiere in equilibrio e bevendo minuscoli e deliziosi sorsi. Ma oggi la macchinetta è rotta. Non mi resta che rimettermi al lavoro, nel freddo polare di questa stanza. E scivolare nella sera.

stamattina e un sogno

Mi piacerebbe essere una che nella vita scrive. Una che riempie il suo tempo preoccupandosi di tradurre dettagli e sfumature in parole. Una che mette su carta le trame della sua fantasia e le fa vivere, diventare vere. Mi immagino seduta davanti al portatile, silenzio intorno, magari una tazza profumata di spezie a portata di mano. A scrivere. Magari nell’equivalente della mia casa nel Maine, immagino una finestra davanti al mare d’inverno, il mio mare, ma credo che anche la mia stanza basterebbe. Se immagino un sogno il mio sogno è così. Avere tempo per scrivere. A questo penso in questa mattina grigia a fredda. Brividi di freddo e vertigini di malinconici sorrisi. A volta mi sembra che scrivere sia l’unico modo per tollerare lo scorrere del tempo, per dare un senso al flusso delle cose, per poterle comprendere e ricordare. Questo è quello che sogno questa mattina. E il fatto che la vita vada in tutt’altra direzione non toglie al sogno intensità e calore.

lunedì 7 gennaio 2008

tutto a posto

Oggi mi sembrava che ci fosse qualcosa di troppo. Troppa luce [le abbaglianti lame dei neon]. Troppo freddo [il riscaldamento spento da troppi giorni]. Troppo bianco [il cielo denso e freddo come panna montata]. Troppo rumore [il fruscio delle ventole dei pc, il soffio di aria e polvere del calorifero]. La sera è scesa sui miei occhi come una piacevole sorpresa. E mi ritrovo a casa, con una tazza di cardamomo e finocchio tra le mani e la voglia di perdermi tra le pagine di un libro. Una piccola fuga innocente. Da quello che è reale. Anche se oggi mi sono sentita straordinariamente concreta e reale ora ho voglia di farmi leggera e sfocata. Perdermi nei riflessi delle luci della strada sull'asfalto umido dentro la cornice della finestra. Perdermi nella morbidezza del piumone, nel profumo della carta. Perdermi nella fantasia leggera e dolce dei miei pensieri stanchi. Perdermi nella voce dall'altro capo del filo. E nel silenzio perfetto che ne segue. Finalmente serena. Irreale. Semplice. Mia. Andrà tutto a posto, ne sono sicura.

domenica 6 gennaio 2008

domenica pomeriggio

il suono del vento tra i miei pensieri. il cielo è di nuovo grigio. l'aria fredda. e come vorrei. non chiedo altro a questo pomeriggio di tempo per me, l'ultimo che resta e nel quale mi lascio sprofondare senza pensare troppo. lascio l'ansia e la paure in un angolo e mi lascio respirare per quello che posso. morbida e calda nella sua felpa bordeaux. tenera e piccola come mi sento di rado. nascosta in un bozzolo dal quale uscire sarà freddo e ostile. me fintanto che il tempo mi concede tempo mi rannicchio e respiro.