venerdì 6 agosto 2010

come se non ci fosse domani

Passa una 90 ogni trenta minuti. L'ho fatta a piedi con nelle orecchie le mie nuove cuffie fuxia. In fretta. Nel caldo. Niente da fare, ho perso il treno. Ho comprato una coca zero e vanity fair e mi sono seduta ad aspettare. Passata miracolosamente indenne attraverso la lettura di un articolo sulla vita della canalis sono scivolata verso un articoletto di un paio di pagine. Nientre di che, qualche periodo sul giorno delle lauree. Abbastanza banali. Eppure qualcosa c'è.
Come dare il la ad un'orchestra. Che ne so. Il mio sfondo comincia a vorticarmi intorno. Pensieri a catena. Immagini passate, speranze. Illusioni. Il treno delle mie illusioni lanciato che si va a schiantare contro la stazione del reale. Il paese è reale. Il mio mondo è reale. Adesso sono reale. Da vomitare. Da piangere.
E, miodio, piango. Lì seduta con le mie cuffie fuxia ed il giornale in mano. Non posso farne a meno. Senza rumore. Solo lacrime liquide e silenziose. Che bruciano gli occhi come sale. Che sono sola. Che sono solo un puntino nell'universo. Nello spazio afoso di questa stazione piena d'agosto e di luce. E d'estate. E dell'ombra di quello che sarà dopo l'estate. E del sapore salato e umido di tutte le cose che non posso diventare. Che vorrei raggiungere. Ma non posso raggiungere. Ma me le fanno a pezzi. Ma non arrivano mai. Le senti vicine, in equilibrio sul bordo delle palpebre. Ma poi scivolano lungo le guance. E si perdono. E si asciugano. E si dimenticano.

Ho preso il treno, si intende. In modo sorprendentemente razionale ho chiuso la marea delle emozioni dentro un pugno chiuso. E ho indossato il mio sorriso migliore. Il mio sorriso. Migliore.

mercoledì 4 agosto 2010

luglio

Un mese in viaggio. Ad intermittenza. Per lavoro e per piacere. Forse per amore anche. Avanti e indietro tra una manciata di punti. Stazioni affollate d'afa e ragazzi con gli zaini. Autostrade che sembrano non finire mai. Visi che mi vorticano intorno. Problemi problemi problemi. E, a cadenza settimanale, una boccata d'aria di mare.
Letti. Finiva che la sera scivolavo sopra le lenzuola con quel suono liscio e fresco al profumo di detersivo, uguale qualunque fosse il letto. Ovunque fosse. Qualunque fosse il colore della notte, diverso in ogni posto da un altro.
Ho portato con me un libro. Banalmente un romanzone datato senza troppa verve, ma abbastanza lungo da durare. Abbastanza lungo da tenere insieme i fili, i giorni e le notti, i letti, me.
E mi ha tenuta insieme.