Vento. Vento che fa cantare gli alberi e rabbrividire la pelle. Vanto che porta in giro nuovole prima bianche e poi più scure. Vento che fa sbattare le porte nel silenzio del pomeriggio. Vento che fa vibrare gli inutili cartelloni elettorali. Vento che squote i miei rami e le mie radici. E mi fa cantare e rabbrividire.
E il cielo sopra la testa si fa da azzurro a bianco. E poi grigio. Forse pioverà. Forse. Verrà la sera, portata dal vento e portandosi dietro, forse, un poco di pioggia.
Domani smetto i miei panni di malata d'estate. Termometro, medicine e montagne di fazzoletti di carta. Un colpo d'aria. Condizionata. Di freddo sintetico, velenoso. Posticcio come la febbre d'estate.
Il caldo si è spento come la mia febbre. E adoro questo vento. Questa luce smorzata. Questo clima che ammorbidisce i toni, smussa gli spigoli.
Sono stata sola in questi giorni. Sola e sopravvissuta. A me stessa. Al tempo lento delle ore malaticce. Domani mi rigetto nel nauseante vortice dei treni e delle coincidenze mancate. Domani reindosso i miei vestiti e gli orpelli e le maschere e i cartelli coi nomi giusti da appuntarmi al petto. Domani esco. Ma so che, ora, posso tornare. A casa.
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