Sarebbe silenzio. Si non ci fosse il suono elettrico delle apparecchiature in tensione, il fruscio delle ventole del computer, il rumore del traffico distante, fuori dai vetri, e il ticchettio delle mie dita sui tasti, dentro.
Il pomeriggio soprattutto la stanza si riempie di luce, non serve neppure tenere le luci accese. Il sole gira da dietro le mie spalle verso il lato, i colori si fanno più caldi, il cielo si infiamma e, infine, la sfera si fa incandescente sull’orizzonte per poi scomparire dietro gli alberi. Questo accade il pomeriggio fuori dalla mia finestra che non è in verità una sola finestra ma una parete intera.
Io non guardo mai abbastanza, ed è un peccato. Ed è per questo che mi ha lasciata stupita l’aria fredda della sera e il colore giallo e brunito delle chiome degli alberi. È novembre ed io non me ne ero neppure accorta.
Questa mattina ho camminato per venire qui, perché camminare aiuta a ritrovare i pensieri, a far scivolare il peso delle cose inutili via via più giù, dalla testa allo stomaco, alle gambe, ai piedi. Per poi scivolare fuori, sull’asfalto, rimbalzare e restare indietro. Come qualcosa di superfluo, qualcosa da lasciare indietro, un peso di cui disfarsi per camminare più leggera. E andare più lontano.
Forse non ho abbastanza autunni sulle spalle per essere saggia o per aver capito qualcosa, ma ho occhi abbastanza per poter guardare allo specchio e comprendere quanto è ora di fare un respiro. Mi succede, mi è successo e probabilmente succederà di nuovo in futuro. Smetto di scrivere per qualche tempo. Non so giudicare se si tratti di anoressia o inappetenza. Restano bianche le pagine dei miei quaderni e persino questa mia, ormai solitaria, pagina nell’etere. E più perdura questa fase avara di lettere più lentamente cresce dentro una sensazione di vertigine, di smarrimento, perdita dell’orientamento che poi si trasforma in bisogno, in necessità, in urgenza. E quando non sono più in grado di contenere le parole semplicemente tra i miei pensieri, quanto mi riempiono gli occhi e le mani, il giorno e la notte, allora posso solo sedermi davanti ad un foglio bianco e mettermi a scriverle. Non importa come, cosa, dove. Scrivere e basta. Come piovere. Come piangere a volte. Senza rumore.
Goccie. Parole che mi scivolano fuori dalla punta della dita o della penna. Una dopo l’altra. Maree. Ed ad ogni parola mi sento un po’ meglio. Ad ogni parola mi sento di ritrovare qualcosa che avevo perso.
Il pomeriggio soprattutto la stanza si riempie di luce, non serve neppure tenere le luci accese. Il sole gira da dietro le mie spalle verso il lato, i colori si fanno più caldi, il cielo si infiamma e, infine, la sfera si fa incandescente sull’orizzonte per poi scomparire dietro gli alberi. Questo accade il pomeriggio fuori dalla mia finestra che non è in verità una sola finestra ma una parete intera.
Io non guardo mai abbastanza, ed è un peccato. Ed è per questo che mi ha lasciata stupita l’aria fredda della sera e il colore giallo e brunito delle chiome degli alberi. È novembre ed io non me ne ero neppure accorta.
Questa mattina ho camminato per venire qui, perché camminare aiuta a ritrovare i pensieri, a far scivolare il peso delle cose inutili via via più giù, dalla testa allo stomaco, alle gambe, ai piedi. Per poi scivolare fuori, sull’asfalto, rimbalzare e restare indietro. Come qualcosa di superfluo, qualcosa da lasciare indietro, un peso di cui disfarsi per camminare più leggera. E andare più lontano.
Forse non ho abbastanza autunni sulle spalle per essere saggia o per aver capito qualcosa, ma ho occhi abbastanza per poter guardare allo specchio e comprendere quanto è ora di fare un respiro. Mi succede, mi è successo e probabilmente succederà di nuovo in futuro. Smetto di scrivere per qualche tempo. Non so giudicare se si tratti di anoressia o inappetenza. Restano bianche le pagine dei miei quaderni e persino questa mia, ormai solitaria, pagina nell’etere. E più perdura questa fase avara di lettere più lentamente cresce dentro una sensazione di vertigine, di smarrimento, perdita dell’orientamento che poi si trasforma in bisogno, in necessità, in urgenza. E quando non sono più in grado di contenere le parole semplicemente tra i miei pensieri, quanto mi riempiono gli occhi e le mani, il giorno e la notte, allora posso solo sedermi davanti ad un foglio bianco e mettermi a scriverle. Non importa come, cosa, dove. Scrivere e basta. Come piovere. Come piangere a volte. Senza rumore.
Goccie. Parole che mi scivolano fuori dalla punta della dita o della penna. Una dopo l’altra. Maree. Ed ad ogni parola mi sento un po’ meglio. Ad ogni parola mi sento di ritrovare qualcosa che avevo perso.
1 commento:
C'è Vita in queste tue parole... Ti ho percepito un pò come sentire lo schioppettìo ardente d'un camino acceso..
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