Ho guardato il mio riflesso dentro lo specchio questa mattina, facendo finta di non avere nessuna paura. Di non provare nessuna emozione. Ho sistemato i riccioli con un paio di mollettine invisibili. Ho messo il rimmel sulle ciglia. Ho messo addosso un vestitino grigio e tacchi alti, per sembrare più grande, più professionale. Non credete a chi dice che l'abito non fa il monaco, lo sembravo. Più professionista. Ma anche più esile, più incerta. Arrivo con un buon anticipo. Mi fermo al bar all'angolo a bere un caffè sul quale spruzzo un pò di cacao. Il barista è gentile, mi regala un cioccolatino e mi augura buona giornata.
La sala del concorso è fredda, dopo dieci minuti ho già le mani gelate. Gli altri partecipanti, uomini più prossimi ai 40 che ai 30, parlano al cellulare o scrivono messaggi. Io mi guardo i piedi. I colloqui si succedono piuttosto monotoni, sono l'ultima della lista ma dopo due candidati comincio a sentirmi fuoriposto. Arriva il mio turno a ridosso della pausa pranzo. La psicologa mi martella di domande snervanti, supposto che fossi un'asociale con tendenza all'omidio seriale dubito che lo direi in questa sede e a lei. Ma è giusto che ognuno faccia il proprio lavoro. Spero almeno mi disegni un bel profilo.
Gli esaminatori mi piacciono, credo mi piacerebbe lavorare con loro. Ho già deciso che sono in gamba e io sono brava in quanto a prime impressioni. Non sono sicura che loro vedano la stessa cosa. Mentre con gli altri lo scambio di battute mi pareva tra pari io mi sento una specie di simpatico esemplare che fa colore e simpatia ma che, alla fine, non ci crede nessuno. (la grammatica è scorretta ma il signifcato chiaro). Se questa sia una mia impressione o la realtà dei fatti non so dirlo.
Fatto sta che mentre cammino verso la metropolitana sento salirmi il mal di testa in testa e scendermi sulla spalle e nelle dita delle mani la sensazione amara di una nuova sconfitta. Perchè anche se col mio riflesso dentro lo specchio faccio la dura, alla fine la prendo sempre male. Come una sconfitta.
Nell'attesa degli esiti formali mi trincero dietro la mia temporanea scrivania, prossima alla scadenza. Mangio il mio cioccolatino. Mi mordo un pò le dita. Cerdco di ritrovare il capo del gomitolo delle mie cose da fare, della me normale. Cerco di ritorvare quel pò di stabilità che ancora da questa mia quotidinità provvisoria, che conta i giorni alla rovescia. La vita è questa. Una lunghissima successione di prove. Non sempre si vince. Non io, almeno.
...e tu avevi vestiti adatti per le tue guerre stellari...
6 commenti:
Non si vince mai, in queste prove, ma non importa, chè la vita non è "queste prove". Io, che ne ho fatte mille di prove, non ho mai vinto, anche quando è andata bene... perchè l'esaminatore non è Dio, è uno come te, magari più stupido, magari no, quello ch'è certo è ch'è più fortunato... e lo ammazzeresti per questo!
in bocca al lupo...
Nessuno, Onigiri.
La vite è una lunga serie di prove in tutti i sensi.
Incrocio le dita per te.
forza e coraggio, cara.
(ma lo sai che c'era una poesia bellissima di edoardo sanguneti il cui verso principale era: "oggi il mio stile è non avere stile!" me l'hai ricordato, anche se lui parlava di rifare il mondo da capo e senza regole...)
il succo sta nel trovare una vittoria in ogni sconfitta. E' la "te stessa reale" che deve vincere.
Buongiorno
Ed
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